Veronesi e il colibrì in lotta con la vita

Le paure e le speranze di una generazione. Gli infingimenti. Le meschinità. La quotidiana (impossibile?) ricerca delle felicità. Le serene riflessioni sulla vita improvvisamente interrotte da traumi che lasciano cicatrici forti e profonde. E poi, la morte. Inesorabile compagna, invisibile trappola sempre pronta ad aprire la sua botola d’orrore. Tanti gli ingredienti che impastano l’ultimo […]

Le paure e le speranze di una generazione. Gli infingimenti. Le meschinità. La quotidiana (impossibile?) ricerca delle felicità. Le serene riflessioni sulla vita improvvisamente interrotte da traumi che lasciano cicatrici forti e profonde. E poi, la morte. Inesorabile compagna, invisibile trappola sempre pronta ad aprire la sua botola d’orrore.

Tanti gli ingredienti che impastano l’ultimo romanzo di Sandro Veronesi, scrittore tra i più noti e che non necessita certo di presentazioni, dal titolo «Il colibrì», edito dalla Nave di Teseo. Narra la parabola umana e sentimentale del dottor Marco Carrera, oculista e oftalmologo, il colibrì, appunto perché il suo fisico tarda a svilupparsi. Il padre pretende e ottiene un intervento medico. Che risolve (ma sarà davvero così?) il problema, ma che scava un solco ancora più profondo tra i due genitori che non si sono mai veramente amati, senza che Marco si sia accorto, se non in età adulta, di nulla. La mamma non vuole il medico perché «aveva coniato il più rassicurante dei soprannomi, colibrì, per rimarcare che, assieme alla piccolezza, in comune con quel grazioso uccellino Marco aveva anche la bellezza e la velocità». Marco non si accorge di tante cose perché cerca di rimanere saldo, non tanto nelle sue convinzioni, ma nel suo dover vivere, essere costretto a vivere. Una ricerca costante della “normalità“ che sbatte contro il muro del destino.

Non posso rivelarvi tutta la trama, perdereste il gusto di leggere queste pagine. Ma vi consiglio di comprare il libro perché, a parte il finale che lascia un po’ smarriti, siamo di fronte a un robusto romanzo di formazione, sapientemente miscelato tra epoche diverse (dagli anni Sessanta a oggi e anche oltre), costruito su più piani narrativi, molto psicologico e coinvolgente nella descrizione dei personaggi. Spicca la figura della sorella Irene (intelligente sensibile, decisa: anche fino a conseguenze molto forti, diciamo) così come, nella sua assenza e sostanziale inettitudine, del fratello Giacomo. Ma poi ci sono anche gli amici (su tutti: l’Innominabile), i genitori, la moglie e la figlia, la nipotina – assoluta protagonista dell’ultima parte – e, soprattutto, il primo amore che non si scorda mai: Luisa. Che non si scorda e che si svela pienamente nel finale, dopo i molti dubbi disseminati con regia sapiente dall’Autore. Non mancano lo psichiatra che, di fatto, cambia la vita nel bene e nel male a Marco e la moglie, decisamente non adatta…

Dialoghi serrati e periodare lungo ma molto chiaro, Veronesi dà però il meglio nelle vere protagoniste di queste pagine: le città. Che poi sono le città (meglio: i luoghi) amati e vissuti dallo scrittore: Firenze e Roma con appendice ’livornese’, la maremmana Bolgheri. Le piazze le strade i viali sono descritti alla perfezione e suscitano, in chi quelle città ha amato e vissuto, una feroce nostalgia. Veronesi, da scrittore di rango, che divide la sua vita tra Roma e Prato, dà un colpo, non so quanto voluto, a uno dei temi che spesso affronto con impeto in queste pagine: il primo amore che resta (dovrebbe restare) quello che, appunto, non si scorda mai. Veronesi demolisce quest’idea. E mescola, altra ’trovata letteraria’ di notevole spessore, i diversi piani temporali. Un frenetico mescolare n cui, però, mai il lettore perde il filo.

Metaforicamente, e nemmeno con tanta originalità, si può ragionevolmente affermare che Veronesi ci accompagna in un lungo viaggio in treno con tante fermate. Non tutte agevoli perché ti costringono ad alzarti per non rischiare di perdere il posto. In attesa del capolinea, quello che decreta la fine della corsa. Per sempre.

ps: qui trovate la mia videorecensione