Il Desiderio di Montefoschi: il primo amore non si scorda mai

E la pensi. Lontana lontana nel tempo. Quando i cieli ti parevano più blu e l’aria più fresca. Ma è proprio così? E’ vero che il primo amore non si scorda mai? “E’ verissimo – conferma Giorgio Montefoschi, classe 1946, tra i più famosi scrittori europei, premio Strega, tra l’altro, nel 1994 -, straordinariamente vero”- […]

E la pensi. Lontana lontana nel tempo. Quando i cieli ti parevano più blu e l’aria più fresca. Ma è proprio così? E’ vero che il primo amore non si scorda mai? “E’ verissimo – conferma Giorgio Montefoschi, classe 1946, tra i più famosi scrittori europei, premio Strega, tra l’altro, nel 1994 -, straordinariamente vero”-

E perché non si scorda mai?

“Perché si è stati giovani. E quindi, forti, fortissimi. Il primo amore è prigioniero della giovinezza e mai riuscirà a fuggire. Una carica emotiva dirompente come mai nella vita”.

Poi arrivano altri amori.

“Certo, anche più lunghi temporalmente. Ma il primo è un’altra cosa. E’ lì. Fisso. Impossibile da sradicare”.

Per questo c’è chi si innamora di ragazze o ragazzi giovani?

“No, non è così. Pensate a ‘Lolita’ di Nabokov. In realtà, il protagonista non si innamora della giovane per un ritorno al passato. Il suo vero amore è il primo: la ragazzina conosciuta sulla Costa Azzurra. Lui la ricorderà e la inseguirà per tutta la vita. Anche qui c’è la dimostrazione che il primo amore non si scorda mai”.

C’è anche il desiderio di tornare al passato, al primo amore. Quel desiderio che dà il titolo al suo ultimo romanzo edito dalla Nave di Teseo?

“Questo desiderio ha un nome: nostalgia”.

Che aumenta col passare del tempo.

“Sì, perché è un desiderio potentissimo e che, come tale, viene legittimato dallo scorrere della vita. Si recupera il passato. Più il viaggio è lungo, più la nostalgia ti stringe, forte forte”.

Si invecchia…

“Faccio un esempio. Capita, col passare dell’età, di dimenticarsi qualcosa. I nomi, a esempio. Eppure, se devi ricordarti un compagno di scuola, tutto è nitido. Perché è lì, nel passato, che hai piantato la vegetazione della tua vita. I tuoi filari di viti. Una piantagione di sentimenti, ecco”.

Lei dove ha piantato i suoi filari?

“Io faccio un sogno ricorrente. Da ragazzi si andava al mare una volta l’anno. Noi avevamo una casa ad Anzio. Ancor’oggi risento quegli odori. Rivedo quei paesaggi. Rivedo i luoghi. L’apertura della casa. Il giornale dell’anno prima ingiallito. I quaderni e le penne lasciate o dimenticate. Sono sogni di una potenza inaudita. Botte terribili di nostalgia, sensazioni straordinarie”.

I luoghi e gli odori come narrazione del passato. Come memoria.

“L’esempio classico è la madelaine di Proust. Si deve distinguere tra storia personale e avvenimenti dell’epoca. Penso al modo di camminare delle bambine, vere e proprie fanciulle in fiore, della mia gioventù. Un fatto di costume. Se leggiamo ‘Orgoglio e pregiudizio’ di Jane Austen vediamo come dei grandi avvenimenti della Storia – dalla Rivoluzione francese, alla ghigliottina, da Robespierre a Napoleone – non ci sia traccia, prevale il mondo intimo e privato, non quel che accade all’esterno”.

Lei descrive la solarità di Roma. Tante vie, strade, piazze. Vuole che il lettore ricordi…

“Voglio che il lettore senta la fisicità dei luoghi. Metto i nomi di strade vie piazze vicoli di Roma per certificarne l’esistenza. Che ne capisce un lettore di Bologna? Lo capisce, lo capisce… Pensate a un grande come Pamuk. Lui ci dà nomi di luoghi di Istanbul che sfido chiunque a ricordare. Però lui li scrive. E certifica la loro esistenza”.

Montefoschi, lei è maestro nel descrivere i tic della media borghesia. Perché questa scelta? Nostalgia di una classe sociale che non ha più confini definiti?

“La borghesia è centrale nella nostra società. Certo, è in crisi perché è in crisi la struttura fondamentale: la famiglia. Basta vedere quante separazioni ci sono rispetto al passato. Vedi questi ragazzi giocare, con apparente felicità, col cellulare, ma in realtà tristi perché i genitori si sono separati. La famiglia è fondamentale. E non voglio essere scambiato per un reazionario”.

Corre forte il tempo, vero?

“E’ tutta la vita che corre forte. E’ la mia angoscia da sempre, non solo nella produzione letteraria. Fin da bambino sentivo questa corsa inarrestabile. Non ho mai elaborato il lutto di questo scorrere ineluttabile”.

Lo scrittore ai tempi del morbo.

“Tranquillo e ammirato dall’eroismo del personale sanitario. Soddisfatto dei suoi concittadini che hanno obbedito alle indicazioni delle istituzioni non per paura, ma per senso di responsabilità. Io? Sereno, a casa. A leggere e scrivere…”



Francesco Ghidetti