La Malanottata di Palermo

La semplicità è la lente d’ingrandimento perfetta per chi, come me, legge e scrive per passione e professione. E quindi vi dico alcuni semplici motivi per cui dovete assolutamente leggere Malanottata, ultimo romanzo di Giuseppe Di Piazza, autore già da me apprezzato anni fa per lo struggente I quattro canti di Palermo. Malanottata si presenta […]

La semplicità è la lente d’ingrandimento perfetta per chi, come me, legge e scrive per passione e professione. E quindi vi dico alcuni semplici motivi per cui dovete assolutamente leggere Malanottata, ultimo romanzo di Giuseppe Di Piazza, autore già da me apprezzato anni fa per lo struggente I quattro canti di Palermo.

Malanottata si presenta come un giallo. Una prostituta (una “pulla” per dirla con la lingua di Trinacria) viene trovata uccisa e orribilmente sfigurata. Un giovanissimo cronista dell’«Ora» di Palermo – mitico giornale della nostra beata gioventù oramai assente da decenni nelle edicole – indaga tra mafiosi, questurini, redazioni soffocate dal fumo di sigaretta, capiredattori burberi ma buoni, amici un po’ così. Ma soprattutto si lancia nella ricerca della verità in una Palermo lontana eppur così viva nella nostra memoria, la Palermo degli anni Ottanta (il 1984, per la precisione). Il che non è poco perché il romanzo può essere considerato un esempio felicissimo di «letteratura cittadina», argomento su cui sto cercando di attirare l’attenzione dei lettori da tempo. Insomma, la vera protagonista è lei, la città più luminosa d’Europa.

Attenzione, però: Malanottata non è un giallo. Diciamo che la trama poliziesca è una bellissima e riuscitissima scusa per raccontare un momento particolare della nostra storia, i già citati anni Ottanta. E se, come me, siete stati giovani (e più o meno felici) in quegli anni, il gioco seduttivo dello scrittore riesce alla grande. Sarete ansiosi di assaporare, pagina dopo pagina, le avventure del giovin cronista. Non entro di più nella trama per ovvi motivi. Sarebbe crudeltà indecente rivelarvi altri particolari.

Notevole anche l’impianto narrativo che segue due registri temporali. Da una parte il cronista che parla in prima persona. Dall’altra il racconto nudo e crudo delle vicende della ragazza assassinata. Che ha una particolarità. È sì una prostituta (verso cui l’Autore non ha alcuna indulgenza consolatoria), ma vende il suo corpo facendo innamorare i clienti. Siamo in una Palermo quasi primaverile con tanti vedovi inconsolabili. Vedovi di alto bordo, vedovi artisti, vedovi giovani. E proprio un giovane, che troppo ha visto e troppo vorrebbe fare pur nella sua vigliaccheria, è l’altra vittima.

Ancora: i tasselli narrativi sono inseriti nel mosaico di fondo con rara maestria. Basti pensare al rapporto tra pubblico e privato del giovane giornalista che aspira disperatamente all’assunzione (come è capitato a tutti), diviso tra amori facili e amori veri, capace di una costante capacità autocritica che ce lo rende immediatamente simpatico e familiare.

Altro elemento da non sottovalutare è lo stile di Di Piazza. Io cerco di seguire con ostinazione l’insegnamento di Marie-Henri Beyle (più noto come Stendhal) che ammoniva (cito a braccio): scrivete come il Codice Civile, vale a dire con semplicità e senza irritanti barocchismi. Ecco, Di Piazza, non so se consciamente o meno, fa lo stesso. Periodi lineari, semplici, regolari, nemmeno una sbavatura. Non ti incagli, non devi rileggere nulla, i finali dei vari capitoli sono piccoli tocchi di adrenalina o divertenti constatazioni.

Da lodare con forza anche il finale. Spiazzante. Amarognolo. Geniale.

Il che non vuol dire che il romanzo sia esente da passaggi poco convincenti. Specie nella descrizione dei personaggi femminili. Lilli, fidanzata del giornalista, non convince (sembra una svampita che sta lì per caso) così come la perfida Serena che, con la sua insicurezza, rischia di far saltare tutto l’edificio sentimentale del protagonista. Ma si tratta di piccolezze, giusto per non esagerare con le lodi.

Di Piazza, alla fine, ringrazia di essere nato a Palermo. Giusto, la patria urbana è ragione di vita e occasione per saltare i tanti ostacoli della vita. Io, invece, lo ringrazio per avermi fatto conoscere ancor più Palermo – che bazzico con passione appena posso – e di avermi riportato a tempi ormai antichi eppure indimenticabili.

Aiuto. Forse sto invecchiando.

LA FRASE PIÙ BELLA: «CIOÈ, IL SOLITO NIENTE PALERMITANO»

GIUSEPPE DI PIAZZA, Malanottata, HarperCollins, pp. 284, euri 17