Garibaldi in Turchia

Saranno i tempi grami. Sarà la rabbia di vedere neonazisti europei, islamici o sultani che la fanno da padrone. Sarà la vecchiaia che avanza. Sarà tutto questo (e molto altro ancora), ma il mio antico convincimento che vede nella lettura il più forte analgesico contro il male di vivere, si dimostra vieppiù valido. E, visti […]

Saranno i tempi grami. Sarà la rabbia di vedere neonazisti europei, islamici o sultani che la fanno da padrone. Sarà la vecchiaia che avanza. Sarà tutto questo (e molto altro ancora), ma il mio antico convincimento che vede nella lettura il più forte analgesico contro il male di vivere, si dimostra vieppiù valido. E, visti i recenti avvenimenti turchi, ove la libertà viene soffocata e la vendetta assunta a paradigma, ho cercato rifugio in un libro davvero accattivante. Parlo di «Sulle tracce del giovane Garibaldi nell’orizzonte aperto e luminoso del mare Mediterraneo» (edizioni Bonanno, euro 10). Sin dalla prefazione ci si rende conto che il volumetto è tra quelli che non possono mancare in chi crede negli ideali cosmopoliti e di libertà dei popoli, contro ogni razzismo e becero nazionalismo contrapposto all’immortale concetto di Patria.

Scrive infatti Salvo Pulvirenti: «Con una visione del mondo ampia e internazionale, il presente volume getta dei semi per la rinascita di un Uomo Nuovo che non abbia paura del proprio Fratello sconosciuto, dell’Altro, dello Straniero e lo consideri invece un compagno di viaggio per la propria crescita e per un ampliamento della coscienza collettiva». Quanta saggezza…

Del resto, che Garibaldi sia l’archetipo della narrazione umana sta anche, come ricorda giustamente l’Autrice, Annita Garibaldi Jallet, discendente dell’Eroe dei Due Mondi, docente all’università di Bordeaux e in seguito a Siena e Roma, nell’illuminante e sintetico ritratto di Frederic Engels: «Nella persona di Garibaldi l’Italia ha un eroe di stampo antico, capace di realizzare i sogni e di realizzarli».

Annita ripercorre, con passo rapido e scrittura veloce, la storia della permanenza di Garibaldi in Turchia dal 1829 al 1831. Anni misteriosi, su cui anche la più avvertita storiografia ha avuto difficoltà nella ricerca di notizie. Difficoltà dovuta, probabilmente (ma l’ipotesi è mia, potrei sbagliarmi), alla lingua. Nel paese ottomano, infatti, infiniti erano i dialetti. Potete immaginarvi la difficoltà di tradurre lingue ormai consegnate alla storia. Ma non divaghiamo. Nota Annita: «Non vi è quasi alcuna documentazione diretta, anche perché il giovane marinaio non era materia di citazione e di studio da parte dei contemporanei». La Jallet illustra l’ingresso nella media borghesia progressista del giovane Garibaldi e sfata un luogo comune ancora oggi duro a morire. L’idea, cioè, di un Garibaldi cappa e spada, illetterato, che non sapeva far altro che menar le mani. Giudizi ampiamente superati da mezzo secolo: infatti Garibaldi è «figlio di una ‘buona famiglia’, non certo ricca ma agiata, proprietaria della barca con la quale si commercia». Negli anni passati in Turchia (dove dava lezioni di matematica e italiano ai figli degli italiani colà emigrati), Garibaldi matura «nelle sue fondamenta un principio letale (…): il principio della nazionalità, del diritto dei popoli a disporre di loro stessi». Una constatazione difficilmente confutabile, anche perché il Nostro, in quegli anni di esilio forzato, si dedica alla lettura «matta e disperatissima». Ne è testimonianza la conoscenza dell’«Ortis» di Ugo Foscolo. Favorisce questo percorso educativo e culturale di altissimo livello il ‘contesto’ che circonda Garibaldi.

Annota la Jallet: «Lungo tutte le rotte della navigazione vi è una forte presenza della Massoneria. Convergono influenze francesi, inglesi, egizie. Esuli dell’Impero napoleonico, numerosi e spesso di alto grado militare e sociale, i massoni occupano posizioni di rilievo. Accanto a loro si trovano rappresentanti delle antiche carbonerie e sette, esiliati ancor prima». Da rimarcare, inoltre, che «Costantinopoli è (…) un focolaio di italianità. L’arte, la musica, le persone che il Sultano vuole vicino a sé, l’atmosfera della città sono favorevoli agli ideali italiani». Tenendo sempre presente che Garibaldi ha sempre declinato il suo cosmopolitismo a favore della nazione ellenica, alla Grecia di cui, tra l’altro, conosceva la lingua, tanto da cantarne motivetti.

Accanto all’indefessa formazione culturale, Garibaldi intensifica la sua attività marinara e militare. E’ assai probabile che abbia letto l’allora celebre saggio di Carlo Bianco di Saint-Jorioz sulla guerra per bande (il testo preferito, tra gli altri, da Giuseppe Mazzini). Pagine fondamentali: a partire dal 1835, l’Eroe dei Due Mondi applicherà gli insegnamenti teorici di Sant-Jorioz in America Latina nella «guerra di guerriglia» contro i tiranni brasiliani e argentini.

Garibaldi, del resto, non smentisce mai, essendo marinaio (e marinaio colto) il suo cosmopolitismo. Nel 1824, per fare un esempio, era sbarcato a Odessa, città dai mille saperi e dai mille colori. Talmente bella da essere chiamata la «piccola Firenze» (il paragone con la città più bella del mondo non è buttato lì a caso) e degna di attenzione anche perché vi si organizzava la Philiki Eleteria, società segreta e movimento di élite insurrezionale e antiturco. Scrive la Jallet: «Per il giovane Garibaldi si allarga il mondo. Odessa è uno splendido porto naturale la cui banchina e le istallazioni portuali sono distese su una stretta banda di terra». Non solo: «Odessa apre a Garibaldi la porta sul mondo russo e gli fa conoscere anche la rivoluzione decabrista» del 1825, i cui ideali pervaderanno tutte le Patrie europee. Sia chiaro: il cosmopolitismo garibaldino mai perderà di vista l’obiettivo finale: Roma, «il simbolo – si legge nelle Memorie – dell’Italia una». La Roma che Garibaldi aveva visitato nel 1825 sbarcando a Fiumicino e successivamente al porto di Ripetta col padre. E che successivamente lo vedrà protagonista nella Repubblica del 1849 nonché nella formidabile esperienza parlamentare su cui mi dilungherò successivamente.

Ma torniamo alla nostra Turchia. Garibaldi visse tre anni a Costantinopoli, laddove regnava «una cultura non conformista, anche nei comportamenti» e che divenne il faro di quella moda (l’orientalismo) tipico della prima metà dell’Ottocento. Costantinopoli è un grande porto, dove, con la speranza di riprendere quanto prima la lotta per la propria Patria, convivono esuli bonapartisti e dei moti del 1820-21 e del 1830-31. Del resto le frequentazioni del giovane sono culturalmente elevate. Si prenda il caso della famiglia Timoni: «L’ambiente è elevato, cosmopolita, distinto. Se un giovane marinaio può entrare in questa casa significa che è sufficientemente colto e di buone maniere». Il tutto condito da un’attenta lettura dei testi sansimoniani e di Emile Barrault. Testi che marchieranno per sempre Garibaldi, il socialista che accorreva ovunque ci fosse da difendere la libertà dei popoli: «Prima di conoscere Barrault, amavo la mia Patria, dopo averlo conosciuto amo l’umanità». E qui mi fermo. Con una raccomandazione: leggete questo libro. Vi spiegherà come diventare cittadini del mondo. Vi insegnerà a capire la straordinaria attualità di avere come Patria il mondo intero.

annita garibaldi jallet barrault bianco di saint-jorioz costantinpoli Firenze fiumicino Garibaldi massoneria mazzini nazionalismo odessa patria philiki eleteria ripetta Roma