Evviva, torna Arcieri!

Carabiniere. Agente del Sim, il controspionaggio italiano. A-fascista prima. Antifascista poi. Ma, soprattutto, fiorentino in esilio perenne. Signore e signori, torna sulle scene letterarie italiane Bruno Arcieri, l’anti-eroe creato da Leonardo Gori. E ci torna bene, con un romanzo, LA NAVE DEI VINTI (edito da Tea) sicuramente da leggere e che raggiunge le vette narrative di […]

Carabiniere. Agente del Sim, il controspionaggio italiano. A-fascista prima. Antifascista poi. Ma, soprattutto, fiorentino in esilio perenne. Signore e signori, torna sulle scene letterarie italiane Bruno Arcieri, l’anti-eroe creato da Leonardo Gori. E ci torna bene, con un romanzo, LA NAVE DEI VINTI (edito da Tea) sicuramente da leggere e che raggiunge le vette narrative di “Nero di Maggio”, opera di esordio dell’autore che tanto successo ebbe in anni ormai lontani. Non che, sia chiaro, gli altri libri della “saga” di Arcieri non siano egualmente emozionanti. Ma su questo mi permetto di essere ancor più entusiasta. Per tanti motivi.

Punto primo. L’autore poggia la narrazione su un doppio piano. Il protagonista, infatti, racconta le sue vicende parlando dalla Firenze del gennaio 1970 e si riferisce a fatti accaduti nel 1939, alla vigilia della Grande Tragedia, la Seconda guerra mondiale. Bruno racconta il passato. E per chi, come me, ha superato abbondantemente il girone di andata della vita, la dicotomia, il confronto passato/presente fa sempre un certo effetto.

Punto secondo. Gori ci racconta una storia dimenticata. Ossia la vicenda di una nave spagnola fuggita da Valencia e approdata nel porto di Genova carica di un’umanità dolente, in fuga da quella guerra civile spagnola che, proprio in quel terribile 1939 stava per concludersi con la vittoria di Francisco Franco, del Caudillo che avrebbe soffocato il suo paese sino al 1975.

Punto terzo. Il romanzo (Gori ama definire le sue opere “di tensione”) è una spy story dal sapore particolare perché unisce ai grandi avvenimenti, le vicende sentimentali di uomini carichi di paure e speranze. E anche, diciamolo, di sensi di colpa che serviranno a far cambiare idea e ad ammorbidire certe rigidità se non certe granitiche certezze. Per questo, all’inizio, ho parlato di un Arcieri prima “a-fascista” e poi “anti-fascista”.

Punto quarto. La scrittura di Gori migliora come il buon vino. Sempre più secca, ma con una novità (o almeno a me così pare): l’uso delle parole e delle frasi degne di un hard-boiled. Prendete pagina 63: “Sappiate una cosa – dicono alcuni squadristi di scarso cervello come tutti gli squadristi -: se provate ancora a dirci che cosa dobbiamo fare, stanotte vi ritrovate con il viso per terra. O magari in acqua, qui al porto succedono spesso incidenti. Non è una minaccia, è un avvertimento”. Perché questo esempio? Perché Gori gioca molto (e molto bene) coi sentimenti mescolandoli all’azione.

Punto quinto. Lo so, sto per scrivere una cosa che vi lascerà perplessi. Ma la forza del romanzo non risiede nella trama, bensì nell’azione e nell’introspezione dei protagonisti primari e secondari. Essendo una spy story non posso, per decenza intellettuale, rivelarvi troppo. Sappiate solo che Arcieri deve, in compagnia di una serie di più o meno bizzarri figuri, recuperare un documento di vitale importanza per un’Europa che sta precipitando, grazie a un imbelle Occidente e all’aggressività dei nazifascismi europei, verso la catastrofe bellica.

Punto sesto. I protagonisti. Quelle di Gori non sono semplici descrizioni, ma vere introspezioni. Notevoli i personaggi femminili. Da Nanette (molto ambigua in queste pagine), a Irene (che sembra essere la chiave di volta, ma…), a Marie (che ascolta il Bruno narrante), a Rosita (la più innocente) all’immancabile Elena (l’ho scritto mille volte: il primo amore non si scorda mai).

Punto settimo. Il contesto. Gori mostra, ancora una volta, una ottima capacità di leggere la Storia attraverso la Letteratura. Marco Vichi, altro che di letteratura se ne intende e parecchio, me lo aveva detto, tempo fa. La guerra civile spagnola viene fotografata, con pochi flash, per quella che è stata: l’ultima, vera guerra ideologica (ideale?) della storia contemporanea. Chi vi partecipò, insomma, ci credeva.

E coi “punti” mi fermo a sette. Come i peccati capitali.

Di certo, un romanzo da leggere. Per divertirsi, ovvio. Ma anche per fare un discreto ripassino del nostro Novecento. Certo, la tentazione di provocare è forte: e se la parte migliore fosse quella in corsivo? Quella cioè dove Bruno racconta vicende del passato immerso nella Firenze del 1970? Ma vai a sapere se è vero. Magari si tratta solo di nostalgia. Nostalgia per una città che si sarebbe voluto vivere, ma che, per il gioco imperscrutabile del destino, non si è potuto fare. Perché quella che io amo definire la “cifra stilistica” sta sempre là. Nel passato. Nella memoria. Perché ricordare è vivere. E’ essere, piaccia o meno, ve ne siate accorti o no, testimoni del tempo. Che corre via, inesorabile. Lasciando un gusto dolceamaro. Come fosse una colonna sonora. Da ricordare con intensa nostalgia. O forse sto invecchiando? Vabbè, l’importante è che leggiate ”La nave dei vinti”. Ve la cavate con soli 14 euro. E complimenti ai ragazzi di Tea, casa editrice dal prezioso catalogo. Davvero, per dirla sempre con Vichi, “il romanzo più emozionante e doloroso del giovane capitano Arcieri”.