D’Alema di nuovo in campo

APPESI A UN FILO. La scissione è vicina. Specie quando si conosceranno le clausole del Patto del Nazareno sull’elezione del capo dello Stato. «Sì perché – ragiona un irriducibile dell’antirenzismo – quando il presidente del Consiglio ci ha detto ‘ma fate un po’ come vi pare’ ha davvero raggiunto il limite». «E poi, diciamo la […]

APPESI A UN FILO. La scissione è vicina. Specie quando si conosceranno le clausole del Patto del Nazareno sull’elezione del capo dello Stato. «Sì perché – ragiona un irriducibile dell’antirenzismo – quando il presidente del Consiglio ci ha detto ‘ma fate un po’ come vi pare’ ha davvero raggiunto il limite». «E poi, diciamo la verità – aggiunge un altro ultrà anti-Renzi – restare in un partito dove già contiamo poco sarebbe da deficienti».

Le voci si rincorrono, ma tutto resterà fermo almeno sino a dopo l’elezione del presidente della Repubblica. Protagonista principe di una fuoruscita Massimo D’Alema. Lui non parla, ovvio. E dal suo entourage la buttano sul ridere: «Stiamo pensando a qualcosa che guardi al futuro. Magari potremmo fondare il Pci…». Antonio Misiani, già potente tesoriere ai tempi di Bersani, non ci crede. Meglio, non vuol crederci: «Massimo? Resta. Spero. È vero: c’è tensione nel Partito, ma il suo contributo è importante. Dovesse andarsene sarebbe una tragedia». Che la cosa sia nell’aria lo dimostra la risposta più frequente nei nostri interlocutori: «Per carità, non metta il mio nome». Segnale chiaro di riposizionamento. Di attesa. «Massimo è Massimo. Vede tante persone. Lavora. Basta che mi dia un segnale e io parto» dice speranzoso un deputato dell’alta Lombardia. «Credo – osserva il filosofo prestato alla politica Massimo Cacciari – che D’Alema e Bersani si siano resi conto che un’eventuale scissione non potrebbe portare la loro firma. Devono cedere il passo, il loro tempo è finito».

SARÀ, ma i fedelissimi dell’ex segretario sostengono che i due si sentano spesso: «Non perché abbiano le stesse idee su che tattica adottare, ma per antica e comune militanza. Di sicuro Massimo ha un piede fuori molto più di Pier Luigi». Già, ‘Pier Luigi’. «Vuol trattare – afferma un ex ministro – ma sa benissimo che se davvero si arrivasse a un capo dello Stato frutto di un accordo tra Renzi e Berlusconi con l’esclusione della minoranza Pd sarebbe davvero la fine di tutto. Come potrebbe mai tollerare una cosa del genere?».

Resta il fatto che «è evidente: si sta muovendo – sussurra un ex della Margherita –. Anche perché diceva peste e corna di Renzi sia prima che dopo ‘l’incidente’ di mister Pesc, quando gli fu solennemente promesso dal premier che sarebbe diventato ministro degli Esteri della Ue. Lo incontrai in treno e mi disse che ‘quello’ era lì per chiudere la storia dei partiti politici. E l’ho reincontrato, sempre in treno, dopo l’‘incidente’. Furibondo».

L’ALTRO elemento che – dicono – avrebbe convinto D’Alema a pensare a qualcosa di nuovo (molti sono rimasti colpiti dalle lodi pubbliche per Alexìs Tsipras e la sua lista definiti ai tempi delle Europee «sfasciacarrozze») è che, al di là delle apparenze, la sua leadership gode ancora di buona stampa fra militanti e simpatizzanti. «Ma Massimo ha un solo, vero tallone d’Achille: pochi parlamentari». «Macché – ribattono i fedelissimi –. È che se si muove lui ci muoviamo in tanti. Se no restiamo dove siamo. Per ora».