Che guaio a Chinatown…

Andrea Varocchi, commissario infelice, nome d’arte “Gufo’’. Solitario all’apparenza, in realtà in cerca di amore, affetto, calore. Una moglie, Veronica, viva eppur morta. Una badante che odia Andrea. Luisa Lo Presti, medico legale di sfolgorante bellezza. Una donna che vende il suo corpo, Nina e che per Andrea ha un debole. Il magistrato-donna che compra […]

Andrea Varocchi, commissario infelice, nome d’arte “Gufo’’. Solitario all’apparenza, in realtà in cerca di amore, affetto, calore. Una moglie, Veronica, viva eppur morta. Una badante che odia Andrea. Luisa Lo Presti, medico legale di sfolgorante bellezza. Una donna che vende il suo corpo, Nina e che per Andrea ha un debole. Il magistrato-donna che compra sesso. E poi i ragazzi della squadra del Gufo, tra sigarette e schifosi caffè alla macchinetta. Ecco i protagonisti dell’ultimo romanzo (bello) di Luca Martinelli, già noto per la sua passione sherlockiana – che lo ha portato a scrivere romanzi sull’investigatore più noto del mondo – e, più in generale, per una produzione di crime story di sicuro spessore. Ora, Martinelli si misura con la sua città, Prato (anche se è nato a Siena). Una Prato chiamata Borèa e dai colori cupissimi. Neri, nerissimi. Dove si fanno strage di animali e dove si compiono efferati delitti di uomini. Dove razzisti da operetta sono costretti, loro malgrado, a obbedire e a chinare il capo per dar tempo al commissario di risolvere il caso.

Un caso maledettamente complicato che Martinelli affronta – a parte qualche piccola sbavatura verbale: «relazionare», «degustare», «ancheggiare», «sorbire», «mettere un po’ d’ordine nei pensieri»… – con maestrìa, rendendo davvero emozionante la lettura delle 307 pagine. La trama, tutto sommato, e non pigliatemi per matto, è secondaria. La vera protagonista, invece, no. Prato è descritta alla perfezione, con le sue paure (molte) e le sue speranze (poche). «L’età dell’oro», quando ‘i cenci’ resero ricchissima la città, è ormai passato. Per sempre. Una comunità sfilacciata, quasi senza più identità.

La Chinatown onnipresente, vero filo rosso che attraversa il romanzo contribuendo a sfatare molti luoghi comuni e a confermare molti sospetti. C’è una scena, commovente, quando il commissario chiede chi abiti in una strada: i pratesi non ci sono più, a parte una coppia molto anziana. Una fotografia perfetta di un tempo che, piaccia o meno, è passato, inesorabile nella sua velocità e impossibile da riafferrare. Si veda, a questo proposito, pagina 87. In dieci righe, Martinelli ci racconta la sua ventosa Borèa, con pennellate magnifiche, più istruttive di cento saggi. I capannoni e la gente che li affollano. La vendita dei capannoni e le nuove generazioni, non più italiane, che si affacciano sulla scena.

Poi, sia chiaro, non è che le pagine del noir siano impostate tutte al più cupo pessimismo. Senza rivelarvi nulla, vi dico che se il futuro della città è disperato e disperante, quello dei singoli protagonisti, Andrea in primis, regala speranze di riscatto, oltre le infelici vicende della vita di ogni giorno. Molto bella l’immagine del mare. Di più: l’immaginazione del mare. Il commissario ci pensa per ritrovare la serenità. Come pensa alla bella Luisa. La quale pensa a lui e… Basta così. Leggetevi il romanzo «Prima dell’uragano» edito da Damster al prezzo di 14 euro. Spesi bene, diciamo. Per «ammazzare il tempo», come si diceva una volta, e per imparare. Tenendo conto di una massima dell’autore (non so se voluta o meno): mai niente ha colori definiti. Vincono sempre le sfumature. Anche se il nero appare dominante. E anche se il mondo ti pare ostile.