Alajmo e il detective sulle tracce del passato

Un detective sulle orme di una donna. Forse suicida, forse no. E sapete chi è l’investigatore? Il figlio. Quindi la cosa diventa ancor più interessante. Interessante? Avrò usato l’aggettivo giusto? Un mio antico maestro ammoniva: “Se vuoi scrivere bene, butta via gli aggettivi”. Paradosso sublime di uno che di parole se ne intendeva. Però, stavolta, […]

Un detective sulle orme di una donna. Forse suicida, forse no. E sapete chi è l’investigatore? Il figlio. Quindi la cosa diventa ancor più interessante. Interessante? Avrò usato l’aggettivo giusto? Un mio antico maestro ammoniva: “Se vuoi scrivere bene, butta via gli aggettivi”. Paradosso sublime di uno che di parole se ne intendeva. Però, stavolta, devo infrangere il comandamento. Sì, perché per descrivere l’ultima ‘fatica’ di Roberto Alajmo dilaga, come un’onda spinta da vento di libeccio sulle coste livornesi, una voglia matta di scolpire aggettivi. Struggente. Nostalgico. Colorato. Abbagliante. Ironico. E qui mi fermo, se no mi pigliate per matto. Sappiate però che “L’estate del ‘78” è un gran bel libro, dolceamaro, sospeso tra memoria e racconto letterario.

Alajmo lo conosciamo. Siciliano, giornalista, direttore del Biondo di Palermo, ma soprattutto scrittore (o almeno a me piace classificarlo così perché ho letto, con gusto e passione, tutti i suoi romanzi). Indimenticabile, per fare un esempio, “E’ stato il figlio” del 2005. Alajmo racconta storie con un’ironia che solo i siciliani hanno e sanno di avere. Anche nei momenti più critici della loro vita riescono a coniugare, a un sentire fatalistico, una certezza: mai prendersi sul serio. Tutto passa e tutto resta nelle nostre anime. Ed è proprio partendo da quest’ultimo punto che, finalmente direte voi, analizzerò il romanzo-memoria di Roberto. Sullo sfondo di una Palermo sfolgorante di luce, il giovanissimo Roberto perde la madre. Due volte: perché va via di casa (lui e il fratello, cosa abbastanza insolita, restano con il padre Vittorio) e perché muore, a 42 anni. Ecco allora che il figlio si mette sulle sue tracce. Sia scavando nella memoria, sia interrogando chi le era amico, sia con i documenti scritti. La mamma che aspira, non si sa quanto giustamente, a vivere di arte pittorica. Una madre insegnante che, nella Palermo non ancora liberata degli anni Settanta (ma era così un po’ in tutt’Italia) cerca di trovare nuove vie per far capire ai suoi giovani allievi il valore della cultura scontrandosi, fatalmente, con le cosiddette autorità costituite.

Il lungo viaggio di Alajmo non è mai melodrammatico. Anzi. La sua penna ci narra di un’età tosta, l’adolescenza: tratti vividi e serena consapevolezza che il passato non torna, ma è lì, implacabile nei suoi ricordi, nelle sue malinconie, nelle sue gioie. Un passato forse trasfigurato, chissà.

Perché l’Autore redige un dizionario sentimentale, asprigno eppur fedele all’insegnamento di Italo Svevo: “La vita non è né bella né brutta, ma originale!”. Un dizionario che vede protagonisti madri, padri, fratelli, zii, fidanzate e amici. Un dizionario che registra alla voce “divorzio” tutta la perfidia dei tempi. In quei lontani (lontani?) anni Settanta avere un babbo e una mamma con strade separate è impresa non facile. Psicologicamente devastante. Lo spirito adolescenziale – e dire che non posso rivelarvi tutto… – è reso con tratti vividi, specie nella descrizione di apparenti egoismi (il non voler vedere certe scomode realtà) e dalla successiva presa di coscienza che le cose, belle e brutte, sono lì, in evidenza, senza possibilità di essere distrutte o, almeno, coperte dal pennarello del vivere quotidiano. Esempi? Il senso di gioia per un pericolo che si crede superato, pur essendo nell’intimo coscienti che non è vero. O ancora: certi dettagli ignorati – si pensi ai blister delle medicine della mamma – perché non si vuole ammettere che qualcosa, anzi: molto, non va come dovrebbe. E poi: assistere al lento sfiorire delle energie dei genitori. Affrontare l’età adulta che tale si rivela sia per choc terribili sia perché diventi genitore a tua volta. E così nei tratti di tuo figlio ritrovi memorie perdute. Oppure ti rendi conto di quanto certe ansie – in gioventù derubricate a paure inutili – siano terribilmente vere.

Insomma: leggete questo libro (al solito: complimenti ai… ragazzi di Sellerio) e meditate su come si possa scrivere una memoria con sicuro taglio letterario. A una condizione, però: mai prendersi sul serio.

LA FRASE PIU’ BELLA: “La Prima Legge: la felicità consiste nell’essere felici. La Seconda Legge: e saperlo mentre succede, però”

ROBERTO ALAJMO, L’estate del ‘78, Palermo, Sellerio, pp.173, 15 euro

Francesco Ghidetti