Diciannove israeliani uccisi da palestinesi in 45 giorni

Di Lorenzo Bianchi   Tre morti e 4 feriti (due gravi) nel giorno della festa per l’indipendenza di Israele. E’ il settimo di una catena di attentati messi a segno da palestinesi che in un mese e mezzo ha ucciso 19 persone. L’ultimo raid ha seminato sangue a Elad, una cittadina abitata in prevalenza  da […]

Di Lorenzo Bianchi

 

Tre morti e 4 feriti (due gravi) nel giorno della festa per l’indipendenza di Israele. E’ il settimo di una catena di attentati messi a segno da palestinesi che in un mese e mezzo ha ucciso 19 persone. L’ultimo raid ha seminato sangue a Elad, una cittadina abitata in prevalenza  da ebrei ultraortodossi che si trova a tre chilometri dal confine con la Cisgiordania. Hamas ancora una volta ha esultato: “L’attacco di Elad è una risposta alla rabbia del nostro popolo per l’attacco dell’Occupazione (ndr.Israele) che controlla i nostri luoghi sacri”. A Gaza ai passanti sono stati offerti dolci. Gli autori dell’incursione, secondo la polizia, erano due armati di un ascia (o un machete) e di una pistola. La coppia è entrata in azione in due luoghi diversi. Uno è vicino al parco dell’Anfiteatro. Un attentatore sarebbe fuggito a bordo di un furgoncino bianco. Sono stati disseminati numerosi posti di blocco e mobilitati elicotteri. Le tre vittime sono tutte sulla quarantina. “L’operazione di questa sera – ha dichiarato il portavoce di Hamas Hazem Kassem è una conseguenza della collera palestinese per i ripetuti attacchi degli occupanti, delle loro istituzioni e dei loro coloni contro la moschea di Al Aqsa (il terzo luogo santo dell’Islam ndr.). L’esercito ha esteso la chiusura della Cisgiordania.

Il 7 aprile sulla movida di via Dizengoff nel cuore di Tel Aviv si era abbattuta la furia diRaed Fathi Hazem, 29 anni, arrivato da Jenin in Cisgiordania. Tre frequentatori di un pub sono caduti. Sono Tomer Morad e Eytam Magini colpiti a bruciapelo. La terza vittima è Barak Lufan, 35 anni, padre di tre figli, allenatore di una squadra paralimpica.  Alle prime luci del giorno Hazem è stato raggiunto ed ucciso vicino a una moschea di Jaffa nella quale, secondo il padre, aveva appena recitato le preghiere del mattino previste dal Ramadan, il mese sacro dei musulmani. Il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese ha condannato l’azione terroristica di Hazem. Da Gaza, come al solito, Hamas l’ha esaltata. Jenin è stata investita da una massiccia operazione dell’esercito e del controspionaggio interno, lo Shin Bet, nel corso della quale Ahmed as Saadi, presunto miliziano della Jihad Islamica, è stato colpito a morte. La casa di Hazem sarà demolita. Due donne palestinesi sono state uccise nel territori occupati. Una a Betlemme non si era fermata nonostante i colpi di avvertimento. La seconda è stata fulminata nella sera del 10 aprile a Hebron dopo che aveva aggredito e accoltellato un ufficiale della polizia di frontiera (leggermente ferito).

Il 29 marzo a Bnei Brak, un sobborgo di Tel Aviv abitato in prevalenza da ebrei ultraortodossi, assieme a due complici Diaa Hamarsheh, 26 anni, residente nel villaggio di Ya’bad, vicino a Jenin, in sella a una moto ha sparato con un fucile automatico a pedoni, alle auto, a persone che percorrevano la sua stessa strada in bici elettrica. E’ stato ucciso dalla pronta reazione dell’agente di polizia Amir Khoury, 32 anni residente a Nazaret e cittadino arabo. Assieme a un altro uomo Khoury ha colpito Hamarsheh che però ha risposto al fuoco ferendolo a morte.

Il terrorista ucciso, che non aveva un permesso di soggiorno, faceva il muratore in Israele.  Un suo complice è stato arrestato. Di un terzo partecipante all’agguato si sono perse le tracce. Le vittime sono Yaakov Shalom, 36 anni, padre di cinque figli, assassinato mentre era alla guida della sua auto, Avishai Yhezkel, 29 anni, un insegnante che stava camminando fuori casa tenendo per mano il figlio di due anni quando il terrorista si è avvicinato e gli ha sparato, e due ucraini dei quali non si conosce ancora il nome. Domenica 27 marzo due individui hanno ucciso due agenti di polizia nella città di Hadera. Reparti dell’esercito hanno compiuto una incursione a Jenin e nel suo campo profughi, dove hanno trovato però una accesa resistenza da parte di miliziani locali della Jihad islamica. Due di essi sono rimasti uccisi, altri 14 feriti. L’esercito ha catturato in Cisgiordania oltre 30 ricercati, fra cui un esponente dell’Isis.

Il 24 marzo un beduino simpatizzante dell’Isis ha seminato panico e morte a Beersheva, la città israeliana più vicina al deserto del Negev nel terzo attacco a coltellate degli ultimi sette giorni. Hamas e la Jihad islamica hanno immediatamente rivendicato l’azione sulla radio di Hamas. Per il portavoce dell’organizzazione che governa la striscia di Gaza Hamas Abd al Latif al Qanou “i crimini dell’Occupazione debbono essere affrontati con operazioni eroiche: accoltellamenti, investimenti e sparatorie”. L’attentatore è Mohammed Ghaleb Abu al Qìan, 34 anni, insegnante della città beduina di Hura, un centro abitato del Negev. In auto ha percorso la statale 60 e si è fermato a una stazione di rifornimento. Nell’area di servizio ha accoltellato una donna, è risalito sulla sua vettura e ha investito in pieno un uomo in bicicletta. Subito dopo ha raggiunto un centro commerciale, è sceso dall’auto e ha accoltellato altre due persone. Un conducente di autobus che era accorso a soccorrere le vittime dell’agguato ha tentato di fargli abbassare il coltello e poi ha sparato ferendolo a morte. I caduti israeliani sono Menahem Yehezkel, 67 anni, Laura Yitzhak, 43 anni, il rabbino Moshe Kravitzky, 50, e Doris Yahbas, 49.

Abu al Qìan era stato arrestato nel 2015 assieme ad altre persone perché aveva tentato di raggiungere la Siria per combattere con l’Isis, il sedicente Stato Islamico in Iraq e nello Sham (in arabo Levante), e perché cercava di convincere allo stesso passo diversi suoi studenti. Dopo 4 anni di carcere era stato rilasciato. Il 13 marzo un poliziotto israeliano era stato ferito leggermente a coltellate nel quartiere Ras al Amud di Gerusalemme est. Il controspionaggio interno, lo Shin Bet, sorvegliava al Qìan. Secondo il canale televisivo “Channel 12” non aveva però colto nessun segnale di allarme.

Il 21 novembre dell’anno scorso nel centro di Gerusalemme era stato ucciso Eliyahu David Kay, 26 anni. Viveva nel kibbutz Beer Yitzahak. Immigrato dal Sudafrica, lavorava come guida della Fondazione Muro Occidentale. Aveva fatto il servizio militare nei parà. Per Hamas è stata “un’operazione eroica” e un avvertimento “al nemico criminale e al suo governo affinché fermi gli attacchi alla nostra terra e ai nostri siti sacri. Israele pagherà un  prezzo per le iniquità che commette contro la moschea di al-Aqsa, Silwan, Sheik Jarrah e in qualsiasi altro posto”. L’attentatore si era presentato alla base del mercato arabo vicino al Muro del pianto e aveva cominciato a sparare con un mitra Beretta M 12. Due poliziotte lo avevano fulminato, ma in mezzo minuto l’uomo era riuscito ad ammazzare Eliyahu e a ferire il rabbino Zeev Katzenelnbogen, 46 anni, padre di otto figli e Yehuda Imergreen, studente di una jeshiva, una scuola religiosa rabbinica, ricoverato in gravi condizioni all’ospedale Shaare Zedek. L’attentatore si chiamava Fadi Shkhaydam, aveva 42 anni, abitava nel campo profughi di Shuafat a Gerusalemme est ed era un militante di Hamas. La moglie e un figlio erano espatriati diversi giorni prima. In un post su Facebook Shkhaydam aveva scritto: “Dio determina la nostra sorte, ma i più non lo sanno. Egli sceglie chi vuole e lo presenta al suo destino”.

Il 15 giugno dell’anno scorso la marcia delle bandiere israeliane, pur essendo stata costretta a tenersi a distanza di sicurezza dalla Spianata del moschee, aveva riacceso le ostilità fra Gaza e Israele. I militanti della bandiera nazionale avevano gridato slogan truculenti come “il musulmano buono è il musulmano morto”. Mercoledì 16 giugno Hamas aveva lanciato palloni incendiari ed esplosivi che avevano acceso  26 roghi nel sud di Israele provocando danni cospicui alle coltivazioni. La risposta israeliana era stata decisamente morbida. Il nuovo primo ministro Naftali Bennet aveva ordinato di colpire due strutture di addestramento di Hamas a Gaza (nella foto le esplosioni) che in realtà erano vuote. Subito dopo gli integralisti della Striscia avevano fatto decollare altri quattro palloni incendiari che avevano devastato i campi di alcuni kibbutz vicini alla frontiera. Secondo il sito “Ynet News”, collegato al diffuso quotidiano “Yedioth Ahronoth”, la moderazione dello stato ebraico era dovuta alla volontà di non ostacolare gli sforzi egiziani per arrivare a un accordo a lungo termine. Le bandiere verdi di Hamas sono comparse di nuovo a Gerusalemme e in Cisgiordania.  I fedeli hanno espulso con la forza il mufti di Gerusalemme Mohammed Hussein dalla moschea di al-Aqsa, accusandolo di essere troppo vicino al presidente dell’Associazione Nazionale Palestinese Abu Mazen.

Nella guerra del maggio 2021 Israele ha usato per la prima volta un’arma segreta al laser che ha integrato il costoso sistema di difesa antimissile Iron Dome. La notizia è stata confermata da Ely Karmon, Senior Research Scholar dell’Istituto di lotta al terrorismo di Herzliya durante un incontro con la stampa. Con un notevole risparmio sui costi una linea installabile in container è in grado di integrarsi alla perfezione con Iron Dome per l’individuazione e per la distruzione di colpi di mortaio e di razzi sparati a distanza molto ravvicinata.

Il 18 maggio dell’anno scorso Hamas aveva invocato l’aiuto del suo nume tutelare, l’Iran. Il leader politico Ismail Haniyeh aveva inviato una lettera alla Guida Suprema della teocrazia Ali Khamenei. Questo il testo riportato dall’agenzia “Mehr”:”Facciamo appello all’immediata mobilitazione delle comunità musulmana, araba e internazionale ad assumere posizioni determinate e a costringere il nemico sionista a porre fine ai suoi crimini”. Lo stesso Haniyeh un anno fa disse esplicitamente che “la Repubblica Islamica dell’Iran non ha esitato a sostenere la resistenza finanziariamente, militarmente e tecnicamente, un chiaro esempio della strategia stabilita dall’imam Khomeini”. Secondo Meir Litvak, presidente del dipartimento di storia dell’Africa e del Medio Oriente dell’Università di Tel Aviv, Teheran versa a Hamas 100 milioni di dollari all’anno. Uzi Rubin e Tal Inbar, due esperti di missili, hanno dichiarato al “Jerusalem Post” che e la maggior parte delle armi della Striscia viene dalle forze speciali al-Quds dei Pasdaran iraniani. I razzi Qassam costano dai 500 agli 800 dollari l’uno. Quelli più sofisticati, come gli R-160, gli M 302D, gli M-302B, i J-80, gli M-75 e i Fajr 3 e 5 di seconda generazione hanno un prezzo di diverse migliaia di dollari. Secondo Rubin e Inbar all’inizio delle ostilità Hamas ne aveva 14 mila. Da Gaza sono stati lanciati anche droni esplosivi (4  nella direzione dei soldati che stavano prendendo posizione ai confini della Striscia). Gli israeliani sono stati sorpresi dai missili “Ayash 250” in grado di trasportare una testata da 250 grammi di esplosivo a 250 chilometri di distanza. Un vettore di questo tipo è caduto vicino all’aeroporto “Ramon” di Eilat, la città israeliana che si affaccia sul Mar Rosso.

Dal 10 al 21 maggio i radicali islamici di Gaza avrebbero lanciato 4070 missili. Le forze israeliane di difesa hanno scritto su twitter che dall’inizio delle ostilità almeno 20 persone sono state fulminate dai primi 439 razzi di Hamas (su un totale di 610) che hanno fatto cilecca e sono precipitati all’interno della Striscia. Dieci israeliani hanno perso la vita. Due erano minorenni, l’ebreo Ido Avigal di 5 anni e l’araba Nadin Awad di 16. Un colpo di mortaio ha falciato anche due thailandesi che lavoravano in un centro di imballaggio della comunità di Eshkol. L’Unicef calcola che gli abitanti della Striscia fuggiti dalle loro case siano stati 72 mila. I militari israeliani sostengono di aver distrutto 120 chilometri di tunnel nonché un mortaio piazzato all’interno di una scuola di Gaza e di aver ucciso “120 terroristi di Hamas e 25 della Jihad Islamica”. La vittima palestinese più conosciuta è Hussam Abu Harbid, capo della Jhad islamica nel nord della Striscia e grande stratega dei lanci di missili. I jet di Gerusalemme hanno centrato le case del capo politico di Hamas Yahya Sinwar, quella del fratello Muhammad, responsabile del dipartimento logistico dell’organizzazione, l’abitazione del numero due del movimento islamico Halil al-Aya e quella del capo della polizia Abu Naim. Dopo il cessate il fuoco  Sinwar, seguito da una scorta di decine di miliziani rigorosamente vestiti di nero, si è presentato ai funerali di Bassam Hussa, capo di una unità di lancio dei missili. Un gesto di sfida aperta agli eterni nemici israeliani. Sono invece andati a vuoto due tentativi di eliminare Mohammed Deif, comandante delle Brigate Ezzeddin al Qassam, il braccio militare di Hamas. Deif è un obiettivo di lunghissimo corso. Le Forze Israeliane di Difesa hanno cercato di ucciderlo per la prima volta nel 2001. La seconda risale all’anno successivo. Il capo militare di Hamas perse un occhio. Il terzo tentativo di toglierlo di mezzo gli è costato entrambe le gambe e un braccio. Nella prima guerra di Gaza, quella del 2014, una bomba israeliana ha ucciso sua moglie, un suo pargolo appena nato e la figlia di 3 anni.

Il 15 maggio la guerra fra Israele e i fondamentalisti di Hamas ha toccato direttamente i mass media e ha immolato 8 bambini palestinesi e due donne nel campo profughi di al-Shaati. A Gaza l’aviazione di Gerusalemme, dopo aver dato un preavviso diverse ore e dopo aver fatto esplodere un piccolo missile sul tetto, uno dei cosiddetti “bussa soffitto” nell’imminenza dell’attacco, ha bombardato la torre dei mass media di al-Jalaa. Gli ultimi piani dell’edificio ospitano gli uffici della tv del Qatar al-Jazeera e dell’agenzia Associated Press. Secondo il portavoce delle Forze israeliane di difesa Hudai Zilberman nei due palazzi si lavorava al perfezionamento delle armi di Hamas “per renderle più letali” e alla raccolta “di dati di intelligence sui civili e sui militari israeliani”. I missili di Hamas hanno fatto risuonare di nuovo le sirene a Tel Aviv i cui abitanti hanno dovuto lasciare precipitosamente le spiagge  per correre nei rifugi. La pioggia di vettori  contro la metropoli è stata rivendicata come la risposta alla strage della famiglia Abu Hatab nella quale hanno perso la vita 8 bambini e 2 donne. Dalle macerie è stato estratto vivo solo un neonato di pochi mesi, il figlio di Muhammad al-Hadidi. Israele ha spiegato che l’obiettivo erano alcuni importanti esponenti di Hamas e che il movimento islamico vicino ai Fratelli Musulmani usa spesso i civili come scudi umani.

Le rivolte nelle città di Israele nelle quali vive una significativa minoranza araba si sono estese al punto che a Jaffa, che negli ultimi anni non si era mai segnalata per azioni eclatanti, un infermiere di “Magen David Adon”, la Croce rossa locale, ha trovato un giovane militare israeliano, 19 anni, seduto su un marciapiede, sanguinante per le ferite alla testa e cosciente. Ha raccontato di essere stato preso di mira da arabi tumultuanti che lo avevano intontito con uno spray al peperoncino e che poi lo gli avevano scagliato addosso una gragnuola di pietre. All’ospedale Ichilov una radiografia ha rivelato che aveva fratture al cranio e un’emorragia interna, Lod, 15 chilometri a sud est di Tel Aviv, è sprofondata nella guerra civile. Gli arabi israeliani sono il 30 per centro della popolazione. Il sindaco Yair Revivo ha parlato di “notte dei cristalli” rievocando il pogrom nazista del 1938. “Una sinagoga– denuncia –  è stata bruciata, centinaia di auto sono state date alle fiamme, decine di teppisti arabi vagano per le strade. Gli islamisti li incitano ad attaccare le proprietà ebraiche”. “Non vi abbiamo fatto niente – protesta il primo cittadino – settanta anni di convivenza potrebbero essere distrutti da ciò che sta accadendo. E’ un fatto gigantesco, un’Intifada (ndr. rivolta) degli arabi israeliani. La polizia sta scortando via dalle loro case residenti ebrei terrorizzati”. Due dimostranti arabi sono stati colpiti da armi da fuoco. Uno è deceduto. Secondo i mass media i proiettili sono partiti dall’arma di un ebreo che temeva di essere linciato dopo che la torma dei rivoltosi aveva già aggredito un commissariato di polizia, un museo e un collegio rabbinico. Il 12 maggio una squadra di coloni armati ha incrociato una manifestazione araba. Moussa Hassouna, un palestinese, è stato colpito a morte. La vendetta araba è arrivata subito. E’ stata fermata l’auto sulla quale si trovava Yigal Yehoshua, un elettricista molto conosciuto che girava per le case di ebrei e di palestinesi. Dopo essere stato costretto a uscire dal veicolo è stato lapidato. E’ morto all’ospedale 4 giorni dopo.