IDEE / Del Giudice e l’arte dell’errore

  Di Daniele Del Giudice, critico letterario e scrittore sopraffino, morto stamattina a 72 anni, ricordo soprattutto un libro. Che non è ‘Lo stadio di Wimbledon’, con cui ha esordito nel 1983 guadagnandosi l’imperitura stima (e basterebbe questo) di Italo Calvino. All’epoca, ero adolescente, avendo sentito parlare di lui come di uno che indagasse nei […]

 

Di Daniele Del Giudice, critico letterario e scrittore sopraffino, morto stamattina a 72 anni, ricordo soprattutto un libro. Che non è ‘Lo stadio di Wimbledon’, con cui ha esordito nel 1983 guadagnandosi l’imperitura stima (e basterebbe questo) di Italo Calvino. All’epoca, ero adolescente, avendo sentito parlare di lui come di uno che indagasse nei romanzi proprio il mondo della scrittura e il senso dello scrivere, avevo cercato un suo libro in una piccola libreria di provincia e avevo trovato in realtà soltanto una produzione più recente.

Una raccolta di racconti, ‘Staccando l’ombra da terra‘, dedicata al volo e ai racconti sul volo, idealmente sulle tracce o sulle ali di Antoine de Saint-Exupéry. Di quei racconti ho nitido un insegnamento, uno dei migliori, che mi porto dietro da allora. Il protagonista del primo racconto è un apprendista pilota, che sale con il suo istruttore sul suo aereo per l’ennesimo volo ed è pure un po’ scocciato, perché da tempo fa tutto perfettamente ma l’uomo non si convince a concedergli il brevetto. La noia e la boria di sapere fanno il resto, e l’esito è rocambolesco: l’apprendista fa un errore, l’aereo di avvita, inizia a puntare verso terra, inesorabilmente diretto allo schianto. L’istruttore, come imbambolato, non si muove. Il ragazzo allora, in preda al panico, fa qualcosa. Qualunque cosa. Quello che gli viene. Si ingegna, e riesce per un soffio a evitare l’impatto. Il resto del volo – mi pare di ricordare – procede silente. L’apprendista è cinereo: sicuramente, pensa lui, dopo questo pasticcio non avrò mai più un brevetto di volo. E invece l’istruttore, una volta a terra, incredibilmente confermerà: sei pronto a pilotare.

Il perché oggi pare ovvio, ma al me adolescente apparve come un’illuminazione: è stato l’errore. ‘Per l’errore’ è difatti la risposta dell’istruttore al perché diavolo mi promuovi proprio oggi, nel giorno della debacle. Ma è facile sapere tutto, no? Governare la nave, sorridere alla vita, viaggiare spediti con il drink in mano. La maestria, la professionalità, nelle cose, emerge chiara soltanto quando qualcosa va storto. In quei casi la teoria, con rispetto, puoi infilartela in quel posto. L’importante non è non sbagliare, ma provare a cavarsela, dopo l’errore.

Del Giudice non ce l’abbiamo ben presente: era allergico al jet-set, non andava in tv, non si faceva intervistare, non partecipava a grandi eventi pubblici. E soprattutto ha scritto poco. Troppo poco. In compenso ogni suo libro era un sistema perfetto, brillante e definitivo. Avesse strafatto, chi lo sa?, forse lo si sarebbe apprezzato meno. Poi in fondo cosa importa. Lo si può sempre rileggere. Credo proprio che lo farò.