Martedì 30 Aprile 2024

Chiudere un terrazzo o una loggia con vetrate fisse o apribili: quando è possibile

L'esperto / L’Avvocato Michele Arnone fa chiarezza sull'opportunità da parte del proprietario dell’unità immobiliare di poter effettuare delle opere sul balcone o in altri spazi all’aperto e l’orientamento giurisprudenziale in merito

Le vetrate sul balcone sono un tema sempre più attuale tra normative e permessi

Le vetrate sul balcone sono un tema sempre più attuale tra normative e permessi

Il balcone costituisce un prolungamento dell’unità immobiliare e rientra nella proprietà esclusiva del titolare di questa. Il proprietario del balcone (o di una loggia) può quindi chiuderlo con vetrate fisse o apribili a condizione che non vengano alterati la facciata e il relativo decoro architettonico dell’edificio condominiale. Nel caso di manufatto realizzato sul balcone, ovvero su parte di proprietà individuale del condomino, si ha riguardo al concetto di decoro architettonico di cui all’art. 1122 c.c. non già a quello di cui all’art. 1120 c.c. in tema di innovazione delle parti comuni. La Corte di Cassazione ha avuto occasione di affermare che ai sensi dell’art. 1122 c.c. devono considerarsi vietate le opere che un condomino effettua nella sua proprietà esclusiva, ove esse comportino un peggioramento del decoro architettonico dell’edificio. La chiusura di un terrazzo di proprietà esclusiva da parte del condomino, dunque, non è di per sé vietata (a condizione però che essa non sia espressamente vietata da una clausola del regolamento contrattuale di condominio: infatti l’orientamento giurisprudenziale consolidato – proprio con riguardo a eventuali disposizioni che contenute nel regolamento del Condominio, stabiliscano il divieto assoluto di apportare qualsiasi modifica alle parti esterno dell'edificio o nelle zone comuni, che comunque alterino l’attuale aspetto architettonico dell’edificio – riconoscono all'autonomia privata la facoltà di stipulare convenzioni che pongano limitazioni nell'interesse comune ai diritti dei condomini, anche relativamente al contenuto del diritto dominicale sulle parti comuni o di loro esclusiva proprietà. Inoltre, il regolamento può validamente dare del limite del decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall'art. 1120 c.c. e supposta dall’art. 1102 c.c., arrivando al punto di imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all'estetica ed all'aspetto generale dell'edificio. Il regolamento contrattuale di condominio può, del resto, validamente derogare alle disposizioni dell'art. 1102 c.c.) ma è soggetta all’applicazione della previsione di cui all’art. 1122 c.c., il quale ne ammette l’esecuzione solo in quanto non rechi danno alle parti comuni – e dunque all'“estetica della facciata” – ovvero non determini pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio. Tale ultimo aspetto è definito tradizionalmente dalla giurisprudenza quale “estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture che ne costituiscono la nota dominante e imprimono alle varie parti dell'edificio, nonché all'edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata, armonica fisionomia, senza che occorra che si tratti di edificio di particolare pregio artistico”. Nell'accertare se una determinata opera turbi il peculiare decoro architettonico di un edificio, il giudice deve quindi tenere presente il carattere dell'edificio stesso, usando criteri di maggior rigore in rapporto a quelli che abbiano un vero e rilevante pregio artistico. In modo più appropriato, la Suprema Corte di Cassazione ha specificato che “il decoro architettonico di un edificio, che in misura più rilevante e ampia, sussiste per tutti gli edifici, e anche per quelli di carattere popolare, risulta dall'insieme delle linee e dei motivi architettonici e ornamentali che costituiscono le note uniformi dominanti e imprimono alle varie parti dell'edificio stesso nel suo insieme, dal punto di vista estetico, una determinata fisionomia, unitaria e armonica, e dal punto di vista architettonico una certa dignità più o meno pregiata e più o meno apprezzabile. Esso è opera particolare di colui che ha costruito l'edificio e di colui che ha redatto il progetto, ma una volta ultimata la costruzione costituisce un bene cui sono direttamente interessati tutti i condomini e che concorre a determinare il valore sia delle proprietà individuali che di quella collettiva sulle parti comuni”. Tale decoro architettonico, quando possa individuarsi nel fabbricato una linea armonica, sia pure estremamente semplice, che ne caratterizzi la fisionomia, è un bene comune, ai sensi dell'articolo 1117 cod. civ., il cui mantenimento è tutelato a prescindere dalla validità estetica assoluta delle modifiche che si intendono apportare. Il decoro architettonico del fabbricato condominiale costituisce, dunque, un bene comune. La facciata e il relativo decoro architettonico di un edificio condominiale costituiscono un modo di essere dell’immobile e così un elemento del modo di godimento da parte del suo possessore. L'azione del condomino a tutela del decoro architettonico, in quanto estrinsecazione di una facoltà insita nel diritto di proprietà, è imprescrittibile. Dunque, il rispetto del decoro architettonico del fabbricato costituisce un limite al potere del singolo condomino di apportare le modificazioni, anche se necessarie al miglioramento godimento della cosa comune. In aderenza a tale orientamento, dunque, si verifica una lesione del decoro architettonico degli edifici condominiali qualora l’opera determini un'alterazione delle linee e delle strutture fondamentali dell'edificio od anche di sue singole parti o di suoi singoli elementi dotati di sostanziale autonomia, comportando la consequenziale diminuzione del valore dell'intero edificio e, quindi, anche di ciascuna delle unità immobiliari che lo compongono. Occorre precisare però che secondo la Suprema Corte Cassazione non può avere incidenza lesiva del decoro architettonico di un edificio un'opera modificativa compiuta da un condomino, quando sussista degrado di detto decoro a causa di preesistenti interventi modificativi di cui non sia stato preteso il ripristino. Con particolare riferimento alla realizzazione di una veranda, mediante chiusura di balcone o terrazza di proprietà esclusiva del singolo, la giurisprudenza ravvisa la lesione dell’estetica dell’edificio condominiale nell’ipotesi in cui la stessa si risolva nella realizzazione di un nuovo corpo di fabbrica, avulso rispetto alle linee architettoniche del fabbricato che dia luogo a discordanze nel prospetto e ne modifichi l'unità stilistica. La trasformazione di un balcone o di una terrazza, pertinenza della singola unità abitativa, mediante chiusura con vetrate fisse o apribili, lungi dal costituire un’innovazione della cosa comune ex art. 1120 c.c., rientra dunque pacificamente nelle facoltà riconosciute al singolo condomino di intervenire sulla proprietà esclusiva, il cui esercizio è ammesso, come già detto, con i limiti di cui all’art. 1122 c.c. Detta norma pone a carico del condomino che intenda eseguire la chiusura di un balcone o di una terrazza l’obbligo di preventiva informazione nei confronti dell’amministratore del condominio il quale deve riferirne all’assemblea. La finalità di tale obbligo è esclusivamente quella di rendere partecipe l’amministratore, che “ne riferisce all’assemblea”, del fatto che un condomino intenda, sulla sua proprietà esclusiva e a sue spese, realizzare delle opere che rechino danno alle parti comuni o che determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico. Avv. Michele Arnone