Giovedì 25 Aprile 2024

Italia-Germania 4-3, la partita del secolo dentro una notte italiana

Così la semifinale di Messico ’70 divenne uno psicodramma collettivo

Gianni Rivera esulta per il 4-3 azzurro (Olycom)

Gianni Rivera esulta per il 4-3 azzurro (Olycom)

Bologna, 1 luglio 2016 - Sul monoscopio  in bianco e nero c’è la scritta Mexico ’70 e nell’aria volano le note di Burt Bacharach: «I say a little prayer», la colonna sonora del Mundial. Sulla terrazza mia sorella tira notte sui libri alla luce di un’abat-jour: a giorni deve giocarsi la partita di anatomia. Io invece ne gioco mille al calcio-tappi, una sorta di subbuteo ante-litteram, inventato con il mio amico Maurizio. Abbiano ritagliato tutte le figurine dell’album Panini per collocarle dentro i coperchini delle bibite che ora scintillano davanti a noi: Riva, Pelé, Beckenbauer, Banks, ma anche i carneadi di Israele. Il campo da gioco è una tavola di compensato con le linee disegnate a matita, il pallone un bottone ripieno di pongo. Quando la gara finisce, non mancano le interviste dagli spogliatoi: Maurizio fa le domande con proprietà di linguaggio degna di Ciotti e io rispondo con finta cadenza francese, inglese, spagnola o tedesca, a seconda che impersoni Bobby Charlton, Gerd Müller o chissà chi. Il tutto finisce nella bobina del registratore, il Gelosino, che cattura ogni nostra idiozia.

Le partite vere, quelle del Mundial messicano, si giocano, per via del fuso orario, alle 20 o a mezzanotte. Per un tredicenne con la voglia matta di affacciarsi alla vita e scoprire i segreti delle ore piccole è una vera pacchia. Lo sport mi aveva già schiuso le porte della notte nel 1967, con la radiocronaca appassionata di Benvenuti-Griffith di Paolo Valenti e non mi ero perso un solo istante della diretta Rai dello sbarco sulla Luna, il 21 luglio 1969. Per me, innamorato dello spazio, della fantascienza e dei viaggi interplanetari era come la realizzazione di un sogno, il compiersi della fantasia più sfrenata. Vivevo anni magici e l’immaginazione era davvero al potere, almeno dentro casa mia. Mentre mi fingevo Batman sui tetti di un vicino palazzo, correvo con la testa al ritiro azzurro di Messico ‘70 dove il mio idolo Mazzola lottava con Rivera per una maglia da titolare, fino alla famosa e famigerata staffetta. Dopo un girone eliminatorio fatto di singhiozzi e piccole delusioni, era arrivata la vittoria sul Messico, nei quarti, e ora la semifinale con la Germania.

Mio padre  mi propone di dormire qualche ora e puntare la sveglia a mezzanotte per il grande match. Ma ho addosso una tale carica di adrenalina che non potrei chiudere occhio. Mi sorbisco ore di smaniosa attesa e di monoscopio con le note di Bacharach. E finalmente ci siamo: stadio Azteca di Città del Messico ore 24 italiane. Io e mio padre fianco a fianco, un bel bicchierone di succo d’ albicocca per lenire la calura e comincia una partita che sembra normale. Finché l’Italia non va in vantaggio con Boninsegna, dopo appena 8 minuti. Quell’1-0 insperato spinge Valcareggi a ripiegare sul classico copione all’italiana: difesa e contropiede. I tedeschi ci schiacciano per 90 minuti, Albertosi fa i bambini ma nel recupero il piedone di Schnellinger, arrivato chissà come nell’area azzurra, firma l’1-1 in spaccata. Mio padre scuote le testa: non ce la faremo mai, ora crollano, sono sfiniti. E l’avvio dei tempi supplementari sembra dargli ragione. Su azione di calcio d’angolo Cera tenta di servire indietro il pallone ad Albertosi, ma l’opportunista Müller sin infila come un cobra e firma il 2-1 per i tedeschi.   Urla e maledizioni al cielo piovono dalle case vicine in un coro greco di finestre aperte. Sembra davvero finita e qui invece comincia l’epopea. Spinta dalla disperazione, l’Italia manda avanti anche i difensori e Burgnich, ricevuto un gentile omaggio dalla difesa tedesca, spinge la palla in gol col suo zampone da elefante: 2-2. Qui l’orgoglio patrio gonfia petti e vene, le finestre si rianimano, gente in canottiera si scambia gesti scaramantici e urla: adesso li mettiamo sotto. Detto e fatto, perfino Riva si risveglia dalla maledizione di Montezuma, che lo aveva inchiodato in quel Mundial, e il suo sinistro a rasoio ferisce la Germania. Stavolta sembra finita, anche i crucchi vacillano sulle gambe per la stanchezza. Fa eccezione Beckenbauer, che riesce ad essere elegante con una spalla lussata e il braccio appeso al collo da una fasciatura. Un colpo di testa di Seeler corre verso il palo sinistro di Albertosi, Müller si allunga nel cielo come Tiramolla fino a sfiorare la palla: quel che basta per mettere fuori causa Rivera, entrato nella ripresa al posto di Mazzola, che fa la bella statuina sul palo. Albertosi lo copre di insulti e le finestre del tifo fanno altrettanto. Bersaglio di giuste maledizioni, l’abatino rossonero sceglie la più rapida via per la redenzione. Ricevuto un cross di Boninsegna dalla sinistra, tocca in controtempo con il piattone, sorprendendo Maier.

È Italia-Germania 4-3. «Che magnifica serata telespettatori italiani» scandisce Nando Martellini. Per la gloria e per la storia: questa è la partita del secolo, perché dentro c’è tutto il meglio del calcio. E della vita. Quelli che c’erano lo pensano ancora.