Mercoledì 24 Aprile 2024

Pd, la tentazione del golpe: via Renzi se perde la Sicilia

Il piano: Franceschini segretario ma non premier

Il segretario del Pd Matteo Renzi (Ansa)

Il segretario del Pd Matteo Renzi (Ansa)

Roma, 12 settembre 2017 - Chi sarà il candidato del Pd (e/o del centrosinistra) alle elezioni politiche del prossimo anno? Matteo Renzi, Paolo Gentiloni o un terzo uomo (Marco Minniti)? Dal punto di vista dello statuto del Pd, nulla quaestio : il segretario del partito è, per regolamento, candidato premier. È Renzi, dunque, il prescelto e lui, peraltro, ora vuole candidarsi al Senato in Toscana, e non alla Camera, per imporsi con le preferenze e non scattare come capolista bloccato. Così dicono i renziani, negando peraltro ogni competizione in atto con Paolo Gentiloni, e le loro correnti ‘alleate’.

Il senatore Francesco Verducci, vice dell’area dei Giovani Turchi, dietro Matteo Orfini, non ha dubbi: «Il Pd ha appena fatto un congresso, hanno votato due milioni di persone ed è stato scelto Renzi. Dibattiti simili sono imbastiti sul nulla. Poi, ci sarà una squadra e Gentiloni è uno dei punti di forza, ma il leader è Matteo». E così la pensano anche quelli dell’area del ministro Maurizio Martina.

Ma un esponente del centro cattolico del partito già intravede, e forse pregusta, uno scenario ben diverso, quello del ribaltone: «Il 6 novembre ci sono le elezioni regionali siciliane e Renzi le perde. Hai voglia a dire che è un test locale, saranno come la Sardegna per Veltroni: un giudizio di Dio. A quel punto i maggiorenti del Pd ed esponenti esterni al partito (Prodi, Letta, Pisapia, eccetera) inizieranno una campagna a tappeto per dimostrare che Renzi è del tutto unfit (inadatto, la parola usata dall’Economist per bocciare Berlusconi nel 2001, ndr)».

«Ma un’investitura di Gentiloni come candidato premier del Pd ci potrà essere solo se cambia il segretario del Pd – prosegue – . Ergo, Renzi deve perdere lo scettro di leader del partito e ciò può avvenire solo per via traumatica, mettendolo in minoranza in Direzione. Solo a quel punto, con un nuovo segretario, direi Dario Franceschini, il Pd può essere credibile nel proporre una coalizione di centrosinistra e candidare la migliore freccia che ha nell’arco: Paolo Gentiloni».

I franceschiniani, perno indispensabile di ogni futuro ribaltone (e non è affatto detto che i loro voti e quelli delle minoranze bastino), preferiscono tacere, anche se restano i sospettati numero uno.

Invece, Dario Ginefra, colonnello dell’area di Michele Emiliano, pensa che «Gentiloni non si presterà a giochetti contro Renzi». «Matteo e tutto il Pd devono però prendere coraggio: cambiare la legge elettorale, inserendo il premio alla coalizione, e decidere, tra le diverse punte in campo (Renzi, Gentiloni, Minniti), qual è la migliore da schierare, ma senza complotti né sotterfugi».

Nell'altra minoranza, quella che fa capo al ministro Andrea Orlando, i dubbi sulla reale capacità di Renzi di svolgere una leadership in campagna elettorale affiorano più apertamente. Cesare Damiano è stato netto («Renzi ci farà arrivare terzi, serve un altro leader»), mentre il portavoce dell’area, Andrea Martella, preferisce ragionare per sottrazione: «Gentiloni ha acquisito consenso e rafforzato il suo peso e la leadership. In questa fase è un aggregatore capace di dare continuità alla stagione del centrosinistra più di altre candidature che sarebbero maggiormente divisive». Renzi, appunto.

Daniele Marantelli, altro colonnello orlandiano, parla invece di «una discussione puramente accademica. Il tema vero è se ci sarà una legge elettorale diversa, con il premio alla coalizione, il resto è fuffa. E poi Renzi potrebbe stupirci tutti e proporre lui Gentiloni, o un altro, se lo ritenesse più competitivo».