Lunedì 6 Maggio 2024
ROSALBA CARBUTTI
Economia

Operai, la nuova era. Un milione e 600mila alla ricerca di un autunno freddo

In otto anni spariti 300mila posti. I sindacati contro le industrie senza lavoratori

Un operaio

Un operaio

Bologna, 27 aprile 2016 - ALTRO che Charlie Chaplin in Tempi Moderni. Altro che Gian Maria Volontè in La classe operaia va in paradiso. Le tute blu sono cambiate. Se tra gli anni Settanta e Ottanta superavano i 2 milioni, oggi sono 1,6 milioni (esclusi gli operai di Fca). La crisi, poi, ha peggiorato la situazione. In otto anni – dal 2008 al 2016 – si sono persi 300mila posti di lavoro, sintomo di un settore, quello metalmeccanico, che ha subìto un calo della produzione quasi del 30 per cento; almeno secondo Federmeccanica, il sindacato delle imprese del settore che fa parte di Confindustria. E, sempre secondo gli imprenditori, anche la proporzione tra operai e impiegati del comparto è cambiata: 80 per cento a 20 negli anni ’80, 53 per cento a 47 ai giorni nostri.  Ma che cosa nascondono queste cifre? Un altro mondo. Paolo Feltrin, politologo docente all’Università di Trieste, e autore con Mimmo Carrieri del saggio Al Bivio. Lavoro, sindacato e rappresentanza nell’Italia di oggi (Donzelli), dà l’identikit di nuove fabbriche e nuovi operai. «Dimentichiamo la sporcizia, il rumore e la scarsa illuminazione. Ora – spiega Feltrin– più che fabbriche sembrano ospedali. E, spesso, gli operai, come accade alla Fca di Pomigliano, indossano camici bianchi».  ALTRO CAPITOLO è la sicurezza, tant’è che lo stabilimento Fca di Cassino in quattro anni vanta incidenti zero. Infine, il tema competenze. Il nuovo addetto alla produzione dell’industria metalmeccanica ha una professionalità maggiore, è diplomato e, a volte, anche laureato. Rocco Palombella, classe 1955, numero uno della Uilm e sindacalista a tempo pieno dal 1982, ne sa qualcosa. «Venni assunto come operaio all’Ilva di Taranto a 18 anni e i miei colleghi avevano al massimo la terza media. Molti la licenza elementare. Oggi è un’altra storia». Il quadro ce l’ha chiaro il leader della Fim-Cisl, Marco Bentivogli, 45 anni, che si presenta come un innovatore e sogna un sindacato «modello Star Wars».  «La quarta ondata tecnologica sta trasformando l’industria. Perciò dobbiamo giocare d’anticipo. Quando arrivò l’aratro, i contadini diminuirono di cinque volte. Non possiamo correre il rischio che le smart factories (le fabbriche intelligenti) diventino workers less e Union’s free (senza lavoratori e senza sindacati)». In questo contesto, dove spesso gli operai hanno funzioni di controllo, utilizzano il tablet e fanno lavori meno manuali, «è ancora più importante insistere su diritti e tutele per non scomparire», dice Maurizio Landini, leader della Fiom. «Il nostro compito – osserva – è tutelare il potere d’acquisto di tutti i metalmeccanici. La proposta di Federmeccanica di cancellare il contratto nazionale è inaccettabile. Non dimentichiamo che il 50 per cento degli operai lavora nelle piccole e medie imprese con meno di 50 dipendenti».  Ed è proprio per il rinnovo del contratto nazionale, che Fiom, Uilm e Uil hanno scioperato. Unite, dopo otto anni, per dire no alla proposta di Federmeccanica che punta a nuovi modellI contrattuali, scardinando tante certezze.  E la questione – secondo Palombella – «è stata molto sentita dalla categoria. Prima si scioperava per qualsiasi cosa, era quasi un rito. Ora solo per raggiungere una finalità. Una partecipazione del 75% è un successo». La coscienza di classe, quindi, esiste ancora? Se per Bentivogli «la classe, ormai, è il lavoro dipendente», per Palombella «la coscienza di classe c’è, ma è meno legata alla militanza e più agli obiettivi». Landini va oltre: «Gli operai c’erano negli anni ’80 e ci sono oggi. Sono loro che producono la ricchezza di questo Paese».  L’IDENTITÀ politica, però, non è più univoca. «La connotazione a sinistra di vent’anni fa – spiega Feltrin – resiste solo nelle regioni rosse. E al Nord anche gli iscritti Fiom votano prevalentemente Lega e Movimento 5 Stelle». A ciò si aggiunge la de-sindacalizzazione. «Il settore metalmeccanico – si legge nel saggio Al Bivio – ha avuto un ridimensionamento di iscritti al sindacato dagli anni ’80 al 2014, passando da oltre un milione a 656mila». Effetto – osserva Feltrin – anche «dalla redditività dell’azienda. Se Ferrari dà ai suoi dipendenti premi da 10mila euro, il re del cachemire Brunello Cucinelli 6mila, qual è il ruolo dei sindacati? Il rischio è diventare solo un punto per i servizi, dai Caf ai patronati». Forse per (l’ex?) classe operaia che non va in paradiso, ci vorrebbe di più. 

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro