Mercoledì 24 Aprile 2024

La storia si ripete

di Riccardo Brizzi

«SONO spaventato, ma non quanto mia madre» aveva affermato Boris Nemtsov in una recente intervista citata dal «New York Times». Sapeva di essere un probabile bersaglio e conosceva le regole del gioco della politica russa, che frequentava sin dal 1986, quando in seguito al disastro di Chernobyl aveva organizzato un movimento di protesta contro la costruzione di una centrale nucleare nella sua città, Gorkj. Poi avrebbe conosciuto un’ascesa folgorante sotto l’era Eltsin, incarnando la generazione dei giovani ministri riformatori post-sovietici. Con il suo assassinio, la lista degli oppositori eliminati, in Russia o all’estero, durante l’era putiniana si allunga. Al di là del più che legittimo sdegno verso un inaccettabile omicidio politico, occorre riflettere sul contesto in cui esso è avvenuto. Quello di un paese, la Russia, in cui le eredità della storia si sono dimostrate più tenaci dei regimi che si sono succeduti nel corso del Novecento: zarismo, comunismo, era post-sovietica.

 

SISTEMI fondati su ideologie radicalmente diverse ma accomunati da due costanti nella gestione del potere politico: una concezione autocratica della leadership e la sistematica cancellazione - più o meno violenta a seconda delle epoche - degli spazi dell’opposizione politica. Lo Zar, capo della Chiesa ortodossa e Cesare contemporaneamente, doveva il suo potere soltanto a Dio: in questo sistema per secoli non solo non esistevano spazi per l’opposizione, ma ogni rinuncia alla sovranità o contestazione della figura dello zar era considerata un vero e proprio sacrilegio. Se in Europa i sovrani assoluti si sono progressivamente trasformati in monarchi costituzionali, la doppia natura dello Zar di vertice temporale e spirituale, ha destinato la Russia all’immobilismo e all’autocrazia, sino alla rivoluzione bolscevica, che ben presto ha riproposto - estremizzandoli sotto l’era staliniana - sia i tratti di culto della personalità del capo e l’eliminazione brutale degli oppositori. E la difficoltà del radicamento di logiche democratiche si è rapidamente riproposta nella Russia post-sovietica, celebrata troppo presto da un Occidente impaziente di festeggiare la fine della guerra fredda senza capire che la caduta del Muro non avrebbe automaticamente esportato i propri valori e principi al di là dell’ex Cortina di ferro.

di Riccardo Brizzi