Domenica 2 Giugno 2024

La battaglia di Veronesi«Libera scelta, con regole»

Piero Degli Antoni MILANO Professor Umberto Veronesi, il suicidio assistito di Brittany Maynard pone ancora una volta il dilemma morale: quando è giusto consentire a un essere umano di uccidersi? «Dobbiamo fare un distinguo. Il suicidio è una scelta libera che non ha bisogno di autorizzazioni: è peccato per la Chiesa cattolica, ma non è reato per lo Stato (cioè non lo è il tentato suicidio). In Italia ci sono 4000 suicidi all'anno. Sono soprattutto uomini (il rapporto è 1 a 3 rispetto alle donne). Si tratta di persone con un disagio esistenziale profondo. Il suicidio assistito invece è anch'esso una scelta, ma appartiene a un malato terminale senza alcuna speranza di miglioramento o guarigione, che desidera mettere anticipatamente fine a un'esistenza ridotta a un'insopportabile sequenza di giorni di dolore. In questi casi sono favorevole al modello olandese». In Olanda che accade? «Là il suicidio assistito è proibito e chi lo esegue può essere punito con la detenzione fino a 12 anni. Tuttavia c'è una deroga che si applica a un malato in condizione terminale, il quale sottoscrive spontaneamente almeno due volte una dichiarazione scritta che attesta la sua volontà di morire anticipatamente. Questa sua richiesta viene vagliata da un Comitato formato da medici curanti, medici legali ed esperti di etica, e quindi inviata alla Magistratura con tutta la documentazione del caso, la quale rilascia o non rilascia l'autorizzazione a procedere. Il suicidio assistito è dunque regolamentato da una legge molto seria. La stessa legge che vorremmo anche in Italia». Anche nell'Oregon, dove la pratica è consentita, è comunque richiesto un «controllo preventivo» per dare l'autorizzazione. Quali sono secondo lei i limiti di tale facoltà? Ed è giusto che ci sia una supervisione? «In parte ho già citato i limiti. Più che di limiti parlerei di una condizione imprescindibile: la volontà scritta di un malato terminale che dimostra di essere lucido, consapevole e di trovarsi in condizioni di malattia incurabile. La supervisione secondo me si deve limitare a valutare attentamente e scientificamente questa volontà». Pensa che anche in Italia si potrebbe cominciare a pensare a una legislazione del genere? Cosa lo ha sempre impedito: la morale sociale, l'influenza della religione cattolica, la tradizione? Quale potrebbe essere un primo passo, il testamento biologico? «Già da molti anni, dieci almeno, il movimento per l'autodeterminazione della persona è molto attivo in Italia. La sentenza che permise la soluzione del caso di Eluana Englaro la vicenda più nota e dibattuta degli ultimi anni è figlia di questa cultura. La mancanza di una specifica legge per il fine vita è sicuramente causa dell'azione combinata di tutti e tre fattori che lei cita: morale sociale, religione cattolica, tradizione. Tuttavia non sempre le leggi in Italia rispecchiano la volontà popolare: più volte i giudici hanno dimostrato, non solo nel caso del fine vita, di essere più vicini ai bisogni della gente dei legislatori. Per esempio le limitazioni alla fecondazione assistita sono stati abbattute dai tribunali. Nel caso del suicidio assistito (o eutanasia, se vogliamo) il primo passo sarebbe la discussione in Parlamento della legge di iniziativa popolare che è stata sottoscritta da 500mila cittadini, e che è stata sottoposta agli organi competenti seguendo gli iter previsti. Eppure inspiegabilmente giace in qualche cassetto. Noi chiediamo di aprire questo cassetto e aprire il dibattito parlamentare, tenendo conto della voce dei cittadini».