Domenica 19 Maggio 2024

L'Uruguay piange Ghiggia, leggenda del Maracanazo

di Alessandro Fiesoli

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Montevideo, 18 lugluio 2015 -  È MORTO nello stesso giorno che lo ha reso immortale. Il 16 luglio 1950, alle 16,38, aveva fatto piangere tutto il Brasile, consegnando alla storia del calcio il gol più celebre di sempre. E il suo cuore si è fermato, con una puntualità da brividi, nel sessantacinquesimo anniversario del Maracanazo. Non è dato sapere a che ora Alcides Ghiggia, 88 anni, abbia chiuso gli occhi, mentre stava parlando di calcio con il figlio, Arcadio. Ma la circostanza resta da capogiro. Diventa più difficile non credere al destino, davanti a una vicenda come questa. È come se qualcosa di magico, di divino, fosse sopravvissuto nel tempo, legato al mito di quella partita. Hanno scritto in Brasile: «Il fantasma del Maracanazo è morto, ma non smetterà mai di esistere». Aveva la finta assassina da ala destra classica e i baffetti da ballerino di tango, Ghiggia, l'ultimo eroe uruguaiano della finale del 1950. È da lì, solo da lì, che si deve cominciare, per ricordarlo. Era la partita decisiva di quel mondiale, Brasile-Uruguay, non la finale.

La formula, con il girone decisivo a quattro, voleva così. Ai brasiliani, gran favoriti, sarebbe bastato il pareggio. In duecentomila al Maracanà, contro solo cento tifosi uruguagi. Julies Rimet aveva in tasca il discorso di congratulazioni per il Brasile. Il portiere Barbosa era già stato eletto, in modo imprudente, miglior giocatore del torneo. Obdulio Varela, mitico capitano di quella «Celeste», entrò negli spogliatoi e quasi minacciò i suoi compagni: «Non guardate gli spalti, non ascoltate il pubblico, per noi deve esserci solo il campo». Poi si avvicinò a Ghiggia e gli puntò il dito sul petto: «E tu, questa volta, cerca di non nasconderti». Segna per primo il Brasile, con Friaca, e poi entra in scena lui, Ghiggia. Una cronaca per sempre, come una preghiera. Assist per l'uno a uno di Schiaffino, e quando, al minuto 79, vede Barbosa fuori dai pali, Ghiggia lo infila con un rasoterra sul palo più vicino. Rimet distrugge il discorso già scritto. A Barbosa si spense lo sguardo, condannato a cinquant'anni di ergastolo morale e sportivo.

Molti anni dopo, Barbosa avrebbe ricomprato i pali di quella porta, per farne un barbecue. Sul Maracanà scese un grande silenzio. In Brasile ci furono 34 suicidi e 56 morti per infarto. Varela, davanti a tanto strazio, si unì ai tifosi brasiliani in lacrime nei bar di Rio. Da quel giorno, il Maracanà divento il «Maracanazo», l'incubo brasiliano per eccellenza. E quella partita è rimasta eterna. Ghiggia, riconosciuto e picchiato per strada a Rio, tornò a casa in stampelle. Si sarebbe riconciliato con il Brasile nel 2009, con la nomina nella «Walk of Fame» del Maracanà. Dopo quel mondiale, Ghiggia venne in Italia, nel '53, alla Roma, per otto anni, attratto anche dalla Dolce Vita, l'amicizia con Gassman e la Lollobrigida, lo scandalo quando fu trovato in auto con una quattordicenne e la condanna per atti osceni. Con la Roma vinse una coppa delle Fiere, con il Milan, nel '62, lo scudetto, ma solo con quattro presenze, e la fallimentare esperienza da oriundo in Nazionale, con Schiaffino, per la qualificazione mancata al mondiale del '58. Torna in patria, gioca fino a 42 anni, per poi provarci da allenatore e tirare avanti con lavori saltuari, ora croupier, ora direttore di un supermercato, con una pensione pari a 700 euro, vendendo anche il suo «Golden Foot» per 29mila dollari, concedendo interviste a pagamento. L'Uruguay gli ha rso gli onori di Stato. Diceva: «Solo tre persone nella storia sono state capaci di far zittire il Maracanà: il Papa, Sinatra e io, Alcides Ghiggia».