Lunedì 6 Maggio 2024

Isis choc, ecco il tariffario per gli schiavi cristiani e yazidi. Obama invia altri 1.500 soldati in Iraq

L'equivalente di 140 euro per un bambino o una bambina fino a 9 anni, meno di 50 euro per la 'merce' di minore valore, ovvero le donne oltre i 40 anni. Questo il documento choc presentato da Mario Marazziti, presidente del Comitato Diritti Umani della Camera dei Deputati (Demo.S), ottenuto da una fonte vicina all'IS. Obama invierà altri 1.500 soldati per addestramento, consulenza e assistenza alle truppe irachene e curde

UNa donna col bambino nel campo profughi di Suruc, vicino a Kobane (Ap/Lapresse)

UNa donna col bambino nel campo profughi di Suruc, vicino a Kobane (Ap/Lapresse)

Roma, 7 novembre 2014  - Sconvolgente documento diffuso alla Camera da Mario Marazziti, presidente del Comitato Diritti Umani della Camera dei Deputati (Demo.S), coinvolto in molte iniziative per la pace della Comunità di Sant'Egidio. Si tratta di un tariffario per la compravendita dei prigionieri/schiavi in mano agli jihadisti dell'Isis: l'equivalente di 140 euro per un bambino o una bambina fino a 9 anni (la 'merce' più preziosa, tanto se sono cristiani che yazidi). Meno di 50 euro per la 'merce' di minore valore, ovvero le donne oltre i 40 anni. Prezzi intermedi, sotto ai cento euro, per le donne cristiane o yazide tra i 20 e i 30 anni e tra i 30 e 40 anni. 

Marazziti è tornato da Erbil, nel Kurdistan iracheno, dove si era recato insieme a una delegazione della Commissione Esteri, presenti tra gli altri Maria Chiara Carrozza, già ministro della Pubblica Istruzione (PD) e Maria Edera Spadoni (Movimento 5 Stelle).

Nel corso di una conferenza stampa presso la Camera dei deputati, Marazziti ha raccontato di aver ricevuto il materiale da una fonte ritenuta attendibile, che proviene dalle file dell'Isis. La compravendita dei prigionieri schiavi ha finalità di finanziamento del Califfato, ha racconto, e la pena, in caso le tariffe non vengano rispettate, è capitale: "E' una mostruosità che fa parte del genocidio e che accade mentre parliamo". 

Secondo Marazziti, occorre intervenire tanto sul piano militare che umanitario: "Perché il ritardo nella risposta umanitaria, questo inverno, favorirebbe il progetto Isis di pulizia etnica e la scomparsa definitiva dalla regione dei cristiani, degli yazidi, dei turcomanni, delle minoranze sciite e di tutte le altre comunità religiose millenarie. 

La guerra in corso, che coinvolge Siria e Iraq, e che con il Califfato vuole ridisegnare i confini dell'intero Medio Oriente spazzando via tutte le minoranze (yazidi, cristiani, turcomanni, sciiti, shabak e sunniti che non si sottomettono) con un vero e proprio genocidio, fisico, culturale e religioso, ha creato nel Kurdistan iracheno una emergenza umanitaria di dimensioni gigantesche". 

"Adesso -insiste- è arrivato l'inverno. Una risposta straordinaria dell'Italia e dell'Europa è indispensabile. Fa parte della soluzione. Se non si aiutano gli sfollati ad affittare case, a liberare le scuole dove sono accampati, nessuno vorrà restare più in Iraq e scompariranno comunità millenarie: sparirà una presenza cristiana già provata dal dopo Saddam e dai tanti errori del governo settario iracheno sostenuto dalla coalizione mondiale fino a poco tempo fa". 

ARREDI CRISTIANI RAZZIATI SVENDUTI NEI MERCATI DI MOSUL - Nei mercati di Mosul intere aree sono adesso occupate dagli arredi e dagli utensili razziati nelle case abbandonate dai cristiani. Le merci saccheggiate vengono messe in vendita a prezzi stracciati. Lo rivelano - secondo quanto riferisce l'agenzia vaticana Fides - gli abitanti stessi della città occupata lo scorso giugno dai jihadisti dello Stato Islamico, che hanno fatto pervenire al sito www.ankawa.com informazioni interessanti sull'accoglienza riservata dalla popolazione locale a tale commercio. I miliziani jihadisti hanno espropriato fin dal loro arrivo buona parte delle abitazioni dei cristiani fuggiti, marchiandole con scritte che le indicavano come «proprietà» dello Stato Islamico. Adesso i mobili e gli elettrodomestici trovati in quelle case vengono venduti nei mercati del centro, sulla riva destra e su quella sinistra del Tigri, il fiume che divide la città. Ma a fare buoni affari, comprando sottocosto televisioni e frigoriferi rubati ai cristiani - spiegano le fonti, rivelando un dettaglio significativo - sono soprattutto acquirenti provenienti da fuori città. Gli abitanti rimasti a Mosul si tengono solitamente lontani dai banchi che vendono oggetti appartenuti ai loro concittadini cristiani. «Anche nella vendita di tv e altri elettrodomestici - fa notare a Fides una fonte locale - i sostenitori più fanatici del sedicente Califfato esprimono in qualche modo il loro rifiuto per la civiltà e la modernità. Dicono che vogliono tornare al passato. Nel mondo che vogliono costruire, non c'è posto per gli strumenti che possono diffondere musica, cultura e informazione». 

CHIESA IRAQ: LIBERATE I CRISTIANI DI NINIVE  - Mettere in campo «tutto l'impegno possibile» a ogni livello, «locale e internazionale», per ottenere la «liberazione della piana di Ninive» e consentire il rientro dei profughi cristiani nelle loro case. E impegnarsi per «trovare posti di lavoro» per i disoccupati e «fornire scuole» agli studenti, perché possa essere garantita loro l'istruzione e «non venga ostacolato il loro futuro». Sono questi i punti principali emersi nella riunione di emergenza dei rappresentanti delle Chiese cattoliche d'Iraq, tenuta nei giorni scorsi nella sede estiva del Patriarcato caldeo ad Ankawa, sobborgo a maggioranza cristiana a nord di Erbil, nel Kurdistan iracheno. A presiedere l'incontro - riferisce Asianews il patriarca caldeo Louis Sako, alla presenza del nunzio apostolico Giorgio Lingua e di un gruppo di prelati fra i quali l'arcivescovo di Mosul mons. Amel Nona. Obiettivo del patriarca e dei vescovi, «unire gli sforzi» per fornire «suggerimenti e indicazioni» che possano aiutare «i nostri figli» a condurre «una vita decorosa». I vertici della Chiesa irachena hanno ricordato in prima battuta «il miracolo» sinora fatto per garantire alloggi, riparo e conforto alle centinaia di migliaia di sfollati, in fuga dalle milizie dello Stato islamico che hanno conquistato ampie porzioni dell'Iraq e della vicina Siria. I prelati hanno ringraziato in particolare «il Papa per il suo incoraggiamento», le sue «dichiarazioni» di vicinanza e solidarietà, oltre che per «gli aiuti materiali e quanto altro fatto dalla Santa Sede» per il Paese e tutto il Medio Oriente. Una occupazione stabile, residenze di lungo periodo e scuole per poter svolgere le lezioni restano ancora oggi, a mesi di distanza dall'inizio della crisi, le priorità che i vertici ecclesiastici devono affrontare e risolvere per garantire un futuro alla comunità cristiana d'Iraq. In primis, avvertono, è fondamentale proseguire «il programma di alloggi privati per i nostri figli, che vivono sotto tetti provvisori, per proteggerli dal freddo invernale e dalla pioggia». Affrontando il tema dell'emigrazione, il patriarca Sako e i vescovi ricordano che la Chiesa «pur non incoraggiando» l'esodo, tuttavia «rispetta la decisione del popolo e delle famiglie che vogliono lasciare il Paese». La Chiesa irachena «non limita la libertà dei cittadini di scegliere il proprio futuro», tuttavia continua a «pregare il Signore» e a operare perché «la crisi sia breve e possa tornare la pace, come un tempo».

OBAMA INVIA ALTRI 1.500 SOLDATI IN IRAQ  - Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha autorizzato l'esercito a inviare fino a 1.500 soldati aggiuntivi in Iraq.  Lo riferisce il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest, precisando che i militari non saranno impegnati in funzioni di combattimento, ma solo di addestramento, consulenza e assistenza all'esercito iracheno e alle forze curde, per gestire le strutture militari fuori da Baghdad ed Erbil. Il dispiegamento rientra nella missione per combattere contro lo Stato islamico e Obama chiede inoltre al Congresso l'ok allo stanziamento di 5,6 miliardi di euro per contribuire alla lotta all'Isil. Finora le basi militari fuori Erbil e Baghdad sono state gestite da un centro operativo comune allestito da truppe Usa e irachene.