Mercoledì 24 Aprile 2024

Quelle carriere nel nome del padre L’importanza di essere figli illustri

Vite spericolate: dal Trota a Di Pietro jr ai ‘tre monelli’ di Leone

Umberto Bossi col figlio Renzo, detto il ‘Trota’ (Imagoeconomica)

Umberto Bossi col figlio Renzo, detto il ‘Trota’ (Imagoeconomica)

Roma, 18 marzo 2015 - L’IMPRENDITORE Stefano Perotti che avrebbe affidato importanti pratiche di lavoro a Luca Lupi, secondogenito del ministro Maurizio. La presunta trattativa per l’assunzione del figlio dell’ex parlamentare Angelo Sanza a Rete Ferroviaria Italiana. I supposti favoritismi per un nipote di Francesco Gioia (non indagato), ex delegato pontificio per la Basilica del Santo a Padova. Gira che ti rigira, si finisce sempre lì. All’eterno «tengo famiglia». Insomma - vada come vada a finire - si ripropone l’antichissimo dilemma dei ‘figli di’. Chissà, forse, aveva ragione Luigi Barzini che, nel celeberrimo Gli italiani. Vizi e virtù di un popolo, scriveva: «La famiglia non è soltanto il baluardo contro il disordine, ma al contempo, una delle sue cause». O l’immortale «I figli so’ piezz ’e core» di Eduardo De Filippo. Frase scivolosa e rischiosa, peraltro. Specie quando i figli ti fanno perdere la pazienza.

MA TANT’È. Gli esempi potrebbero essere tantissimi. A cominciare dal figlio del già leader della Lega Umberto Bossi. Si chiama Renzo, il padre lo appellò affettuosamente come «il Trota». Ci mise un pochino a raggiungere la maturità - le cronache narrano di tre-bocciature-tre -, ma ci mise pochissimo a entrare nel Consiglio regionale della Lombardia, salvo andarsene nel 2012 perché coinvolto nello scandalo dell’appropriazione indebita di fondi destinati al finanziamento pubblico dei partiti.

Poi, è chiaro, nel «tengo famiglia» ci sono gradazioni diverse, drammi e comiche finali, imbarazzi e rossori. Prendete Antonio Di Pietro. Sì, proprio lui, uno dei simboli di Mani Pulite. Un figlio che gli assomiglia come una goccia d’acqua e che viene trasferito, è un agente di polizia, al commissariato di Vasto, chilometri 30 dalla natìa Montenero di Bisaccia. E poi, con risultati che presumiamo non finiranno negli annali d’Italia, si butterà in politica nel suo Molise anch’egli come consigliere regionale.

Sempre rimanendo in ambito leghista da segnalare il (tutto sommato misterioso: di lui ben poco si sa) figlio primogenito di Bossi, Riccardo. Egli varcò la soglia dell’Europarlamento come assistente. Per la cronaca percepiva, era il 2004, circa 13mila euro al mese, pari (allora veniva automatico pensare così) a un 25 milioni di lire.

Sia chiaro: cognomi illustri non ci sono solo in Italia. Basti pensare a Jean, figlio dell’allora presidente francese Nicolas Sarkozy, che fu piazzato nella prestigiosa Epad, cioè l’istituto pubblico di sviluppo territoriale del quartiere della Défense a Parigi.

Tornando sulle nostre amate sponde, il più spiritoso di tutti fu, correva l’anno Duemila, Giovanni Napolitano. Il padre Giorgio ancora non era primo inquilino del Colle, ma prestigioso esponente dei Democratici di sinistra, i Ds, già titolare del Viminale. Giovanni era entrato all’Antitrust e a chi ironizzava sul suo stato di famiglia, rispose: «Ma di quali poltrone andate cianciando? Sarebbe meglio dire una sedia, visto che io sono un semplice funzionario e non un alto dirigente». L’altro ‘Napolitano junior’, invece, è stato consulente di Coni, Federcalcio, palazzo Chigi, ma soprattutto illustre cattedratico a Roma III, ordinario di diritto amministrativo.

NELLA STORIA del dopoguerra facevano scalpore i figli del presidente Giovanni Leone costretto (ingiustamente) a dimettersi dopo una feroce campagna giornalistica dalla carica di capo dello Stato. L’esponente democristiano aveva tre figli: Mauro, Paolo e Giancarlo. In quegli anni di attacco furibondo da parte di giornalisti e politici che poi furono costretti a scusarsi, vennero soprannominati ‘i tre monelli’ e rappresentati come gaudenti e spregiudicati. Con quali prove è ancor’oggi difficile dire.

C’È POI l’altro aspetto, psicopolitico, diciamo. In una ricerca, su un campione di 102 ‘figli di famosi’, venne fuori un quadro lontano mille miglia dal sentire comune. Il 10 per cento raggiungeva il successo, il 55 conduceva una vita totalmente diversa e il restante 35 lavorava senza seguire i percorsi familiari. Figli di papà, insomma, ma senza esagerare. Anche perché la Storia ci insegna che non sempre è un vantaggio. Prendete Edda Ciano. Amatissima figlia di Sua Eccellenza il Cavalier Benito Mussolini, si vide fucilare il marito Galeazzo l’11 gennaio 1944. E l’ordine era partito dal padre. Galeazzo aveva tradito il 25 luglio. E per lui non vi fu scampo.