Venerdì 26 Aprile 2024

Libia, boicottaggio di Tobruk. Imprenditori in allarme

Un imprenditore italiano preoccupato: "Dobbiamo assolutamente riallacciare i rapporti"

Libia, militari a Tobruk (Ansa)

Libia, militari a Tobruk (Ansa)

Tripoli, 17 agosto 2017 - «Le aziende italiane che ancora lavorano in Libia con grandi difficoltà dopo la caduta di Gheddafi sono seriamente preoccupate per la situazione di rottura del governo di Tobruk con l’Italia. E ora a maggior ragione, dopo che il ministro dell’Economia tre giorni fa ha emesso un provvedimento che blocca la collaborazione con le nostre imprese. L’Italia deve riallacciare rapporti con Tobruk». 

La voce è ferma ma preoccupata. Chi parla è un imprenditore emiliano che da 40 anni opera in Libia. Preferisce che il suo nome rimanga riservato. Attraverso una trading company commercializza con il governo di Haftar forniture meccaniche, automezzi, pezzi di ricambio, generatori. Ieri anche il quotidiano Libya Observer ha pubblicato un servizio (anticipato da Qn a Ferragosto) in cui si spiega che il governo di Beida, espressione del Parlamento di Tobruk, ha emesso un provvedimento per impedire alle società italiane di aprire nuove attività nell’area orientale, di sviluppare quelle esistenti o di avviare joint venture con le locali. Firmato il ministro dell’economia Munir Asser.

L’imprenditore emiliano, un colosso nei rapporti con la Libia, spiega di essersi mosso anche in proprio. «Con un gruppo di partner giordani abbiamo appena inviato un appello al generale Haftar. Chiediamo che formi una delegazione per venire in Italia e risolvere il problema dei rapporti diplomatici. Cercheremo appoggi presso la Farnesina per propiziare l’incontro». L’imprenditore parla con tono pacato ma deciso. «Bisogna guardare avanti e anche se il governo Sarraj è quello riconosciuto dalla comunità internazionale è necessario tenere un canale aperto con Tobruk. Per le aziende italiane che fanno business da quelle parti è fondamentale». E aggiunge: «Francia e Russia hanno in corso grandi manovre per garantirsi un rapporto privilegiato col generale Haftar. L’Italia non deve rimanere tagliata fuori».

Alla Farnesina, intanto, non attribuiscono importanza alla «sparata» del ministro dell’Economia. Sostengono che l’impatto sull’operatività delle imprese italiane sarà nullo. Un braccio di ferro di nervi e diplomazia che si snoda attraverso interessi economici con sullo sfondo l’ombra dell’Eni. Che per ora continua a lavorare in tutta l’area e sul caso Libia tace.   Il quotidiano Libya Observer chiarisce per bocca del ministro che il provvedimento è stato dettato «dall’ostilità italiana verso il popolo libico», riferendosi all’accordo firmato con Tripoli che permette alla nostra Marina di entrare in acque libiche in funzione anti scafisti. Segue minaccia: «Faremo business con gli amici, ci sono altri Paesi che possiedono le tecnologie di cui la Libia ha bisogno». Ma, secondo l’imprenditore emiliano, la società civile libica nutre comunque amicizia verso gli italiani, con la voglia di rinsaldare i rapporti commerciali. È evidente che il governo di Tobruk cerca soprattutto visibilità. Il gioco sulla scacchiera, dunque, è complesso e si snoda tra avvertimenti, segnali indiretti e relazioni internazionali. In mezzo a questo precario equilibrio ci sono le milizie e le tribù, altre componenti da tenere presenti in ogni trattativa. Haftar, peraltro, fa capire che un coinvolgimento del suo governo, per unire la Libia, darebbe energia alla lotta all’Isis e ai trafficanti di uomini. Ovviamente a Tripoli negano. Come uscirne? Per ora non si intravedono sbocchi a breve. E Tobruk tiene toni alti: prima la minaccia ( poi ritirata) degli attacchi alla nostra Marina impegnata contro gli scafisti e ora le sanzioni. Così le relazioni ufficiali fra governo della Cirenaica e l’Italia sono ai minimi. A giugno Tobruk ha dichiarato «persona non gradita» l’ambasciatore italiano a Tripoli, Giuseppe Perrone. Si era anche parlato dell’apertura di un consolato in Cirenaica. Non se ne è fatto nulla.