Giovedì 25 Aprile 2024

Tutti al mare

TRA le tante più o meno sconcertanti ‘eccezionalità’ della politica italiana, l’insolito fatto che non uno dei quattro leader politici oggi più popolari sia membro del parlamento. Ciascuno ha la sua storia, i suoi impedimenti, le sue strategie. Fatto sta che Matteo Renzi, Silvio Berlusconi, Beppe Grillo e Matteo Salvini governano i propri gruppi parlamentari stando fuori dal Palazzo e, sovente, indicando nel Palazzo l’origine dei mali che affliggono il Paese. Ne consegue, come ha osservato Angelo Panebianco sul Corsera, un diffuso e crescente spirito antiparlamentare, che fa leva sullo storico scetticismo nazionale nei confronti delle Istituzioni, del Potere e dello Stato. Il fenomeno ha radici antiche. Mussolini che faceva «bivacco» dell’aula «sorda e grigia» di Montecitorio, l’Uomo qualunque di Guglielmo Giannini che nel dopoguerra attaccava i «privilegi» dei politici, i missini che agitavano come virtù la necessità della loro esclusione dall’arco costituzionale.

E ancora: il lungo e peculiare Sessantotto italiano, la finta ingenuità berlingueriana sulla «questione morale», le battaglie pannelliane contro «il regime partitocratico», fino alla devastazione per via giudiziaria della Prima repubblica, alle sfuriate leghiste contro «Roma ladrona», ai lai berlusconiani contro «i professionisti della politica», all’attacco alla «Casta» orchestrato dal castale Corsera, al mito della democrazia diretta teorizzato dalla coppia Grillo-Casaleggio...

Ne consegue una crescente disaffezione popolare nei confronti della politica in generale e del parlamento in particolare. Un caso di autolesionismo, perché a incanalare il vento dell’antipolitica sono i leader politici, che così facendo delegittimano se stessi. Con questo spirito, in effetti degno del conte von Masoch, sono stati negli anni aboliti il finanziamento pubblico ai partiti, le immunità parlamentari, i vitalizi e, oggi, con quel gran bluff che passa sotto il nome di legge Richetti, i diritti pensionistici acquisiti da un certo numero di ex parlamentari. Cavalcare l’onda, assecondare il vento: in ciò si riassume la massima furbizia di cui il ceto politico sembra capace. Piccole furbizie, appunto, che si traducono in un clamoroso caso di autodelegittimazione collettiva.

E nessuno, tra questi sofisticati strateghi dell’attimo presente, colto dal dubbio che anziché sputare nel piatto in cui mangia sarebbe forse più proficuo elaborarne le pietanze. Il parlamento ha appena chiuso per ferie. Più di 40 giorni di vacanza, con le elezioni che si avvicinano e l’approvazione della legge di bilancio che occuperà buona parte dei lavori d’aula prossimi venturi. Se anziché andare al mare gli eletti fossero restati a Roma per approvare leggi come il biotestamento, la Richetti, la cannabis, il sostegno agli orfani di donne uccise e via elencando, l’immagine della politica e del Parlamento se ne sarebbero giovate. E invece no, tutti al mare, ben sapendo che quelle leggi rimarranno nei cassetti, ma denunciando da sotto l’ombrellone le malefatte della Casta di cui fanno parte. Salvo poi stupirsi del fatto che la gente non voti più e che quando lo fa voti ‘populista’.