Sabato 27 Aprile 2024

Pensioni anticipate, dubbi dei tecnici: "Per l'Ape i soldi non bastano"

L’ultimo capitolo del conflitto tra politica e organismi di controllo

Inps (Ansa)

Inps (Ansa)

Roma, 5 ottobre 2016 - BOCCIATURE pubbliche. Come quella del Def da parte dell’Ufficio parlamentare di bilancio o di Bankitalia. E bocciature riservate e sotterranee. Come quella che hanno manifestato i tecnici della Ragioneria generale dello Stato sull’Ape, l’anticipo pensionistico. Una serie di riserve e perplessità su quello che il governo considera uno degli assi nella manica per garantire la flessibilità pensionistica: nel mirino l’impatto a medio termine sulla spesa previdenziale di una misura che comunque determina un allentamento delle maglie strette della riforma Fornero.

Ma questi, a ben vedere, sono solo due dei pressoché innumerevoli conflitti tra tecnici e politici o, in senso più lato, tra tecnocrazia e politica. È recente lo scontro all’ultimo decimale di Pil tra Palazzo Chigi e l’Istat. Ma anche questo, per quanto irrituale, è solo l’ultimo episodio di insofferenza di una politica che, soprattutto in Italia, ha finito per consegnarsi mani e piedi a organismi indipendenti e a super-esperti o presunti tali. O comunque a far dipendere e discendere le proprie decisioni da numeri apparentemente intoccabili e da giudizi analogamente inappellabili di strutture «tecnicamente irresponsabili», nel senso di completamente autoreferenti.

Eppure, non è reato domandarsi se da parte della tecnica esistano altri modi, più appropriati, di interpretare il proprio ruolo, se sia davvero obbligatorio atteggiarsi a controllori, se sia indispensabile che i vincoli di appartenenza all’élite prevalgano sistematicamente su ogni considerazione di opportunità democratica e di difesa dell’interesse nazionale. Davvero l’unico modo possibile per calcolare il deficit strutturale italiano era quello, estremamente penalizzante, individuato in Europa con il nostro tecnico consenso?

Lo stesso Ufficio parlamentare di Bilancio non è la quinta colonna della Commissione Europea nel processo decisionale italiano, o quanto meno non lo è necessariamente (e infatti in qualche caso, come proprio a proposito dei criteri di calcolo del deficit strutturale, l’ha criticata). Lo è, probabilmente, nelle intenzioni con le quali è stato istituito a livello europeo, ma formalmente è un organo del Parlamento italiano funzionale al controllo del governo italiano, delle tasse che mette e delle spese che approva.

Ma c’è di più. Ci si vorrà domandare, prima o poi, se fosse davvero obbligatorio, negli ultimi 25 anni, nominare sistematicamente ministri del Tesoro tecnici (tutti tranne Giulio Tremonti)? Gli altri Paesi non lo fanno, George Osbourne era il numero due dei Tory con Cameron, come Gordon Brown lo era di Tony Blair nei laburisti e Wolfgang Schauble lo è di Angela Merkel nella Cdu. E lo stesso accade in Francia. Solo da noi i ministri dell’Economia devono essere e apparire una sorta di commissario esterno nel governo. Fino all’apoteosi di MarioMonti commissario di se stesso.

Non è un caso, d’altra parte, che anche oggi un premier politicamente forte come Matteo Renzi senta comunque il bisogno di fare una battuta, la notte del via libera al Def, sul fatto che alla fine «è passata la linea Padoan». E non manca, infatti, chi non faccia comunque rilevare che, per quanto in maniera attenuata, anche in questo esecutivo emergano come un fiume carsico le divergenze tra Via XX Settembre e Palazzo Chigi.

Poi, certo, alla fine della fiera rimane da stabilire se siano più conformisti e provinciali i tecnici che interpretano il proprio ruolo dando sempre ragione ai propri simili al di là del confine e ritenendo questo un titolo di merito e una spilla da appuntarsi sul petto quando si va a qualche workshop a Cernobbio, oppure i politici che si nascondono dietro quello schermo per nascondere la propria inadeguatezza.

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