Giovedì 16 Maggio 2024
AGNESE PINI
Economia

Mps, il Tesoro avrà fino al 60%. "Rimborsiamo tutti i risparmiatori"

Mattarella firma il salva-banche. L’ad Morelli: resto, saremo più forti

Mps, la sede centrale a Siena

Mps, la sede centrale a Siena

Siena, 24 dicembre 2016 - Chi arriva, chi resta, chi se ne va. A Siena si ridisegnano in fretta gli equilibri, all’alba della svolta destinata a cambiare la pelle del Monte e della sua città. A meno di 24 ore dalla sigla del decreto salva-risparmio firmato ieri dal presidente Mattarella, i riposizionamenti sono già certezze. Chi arriva è, ovviamente, il Tesoro. Che potrebbe raggiungere la quota monstre del 62% facendo della banca più antica del mondo un istituto di Stato, seppure a tempo: potrà «sottoscrivere o acquistare azioni entro il 31 dicembre 2017». Sperando nel frattempo di trovare investitori forti, seri e più realistici degli ultimi fantomatici fondi sovrani del Qatar, evaporati al primo vento avverso. Chi resta (almeno per il momento) è Marco Morelli, l’amministratore delegato che è diventato incarnazione negli ultimi tre mesi del piano di aumento di capitale privato. E che adesso, archiviato un insuccesso «scritto nelle stelle» – almeno secondo le campane del giorno dopo – ci rimette la faccia e rinnova il suo impegno. Lo fa in un videomessaggio ai dipendenti, in cui gli sforzi delle ultime settimane sembrano già lontani ere geologiche, e non una manciata di ore insonni. «Lo Stato ci renderà più forti», dice il ceo, e del resto lo ribadiscono un po’ tutti a Siena, almeno tutti quelli che contano nel panorama politico e istituzionale, in una città che invece si sente, nella sua pancia, svuotata e spaventata.

Lo dice anche Marcello Clarich, presidente della Fondazione, che negli ultimi giorni è scesa a quota 0,1% (destinata a polverizzarsi ulteriormente con l’intervento pubblico) ed è quindi di fatto fuori dalla banca. Ecco chi se ne va. Nel giorno dei cambiamenti storici, questo può dirsi preannunciato quasi quanto gli aiuti di Stato, ma è bene comunque soffermarsi un attimo sul punto, perché è davvero la fine di un’era. O, per dirla con le parole del presidente, l’inizio di una nuova: «Abbiamo tagliato il cordone ombelicale». Lo stesso cordone che è stato, negli ultimi vent’anni, panacea di tutti i peccati originali del Monte, grovigli armoniosi compresi.

PRIMA di costruire, bisogna distruggere. Dunque, raso al suolo il passato, c’è un futuro da delineare e in cui le incognite e gli ostacoli sono più concreti che mai. Dalle scadenze di fine anno della Bce, alla immane zavorra dei crediti deteriorati, ai malumori di Bruxelles (a cui spetta l’ultima parola sul piano e che, solo in serata, ha addolcito i toni), al destino di risparmiatori e obbligazionisti, al piano industriale: i progetti di Mps ripartono da zero. E di tempo, tanto per cambiare, non ce n’è. La Consob ha comunque prorogato la sospensione dalle negoziazioni dei titoli Mps fino a quando i termini dell’operazione non saranno chiariti. Partiamo dall’origine dei mali, i crediti deteriorati (Npl, Non performing loans). La banca ne ha per 27,7 miliardi: è la loro dismissione, imposta da Francoforte, a decretare l’aumento di capitale di cui si farà carico lo Stato. La buona notizia: il fondo Atlante non si sfilerà dalla partita con l’intervento pubblico. Contestualmente all’aumento, la banca dovrà approntare un nuovo piano industriale. Tempi tecnici previsti: due o tre mesi.

IL GOVERNO ci mette tutta la buona volontà. Anche per tutelare i risparmiatori e calmare le (comprensibili) crisi di panico di chi nelle ultime ore ha temuto di perdere tutto. «Tutele al 100%» ci saranno per i 40mila titolari delle obbligazioni Antonveneta, i più esposti, che dovranno partecipare alla ricapitalizzazione secondo le regole del burden sharing, che prevede una condivisione dei rischi fra pubblico e privato. Ma le inevitabili perdite derivate dalla conversione a prezzi di mercato dei bond in azioni «saranno rimborsate». Rimborsi non previsti invece per gli investitori istituzionali, la cui conversione sarà coperta solo fino al 75% del valore iniziale. Ora, nulla è facile come sembra: i piani romani dovranno fare i conti con la Bce e la Commissione europea. A Siena le chiamano «i nuovi mostri».

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