Mercoledì 24 Aprile 2024

Tremonti: "Schiavi della finanza globale, le regole non sono servite"

"Calpestati popoli e democrazia"

Giulia Tremonti (ImagoE)

Giulia Tremonti (ImagoE)

Roma, 24 aprile 2017 -  È finita che non è finita. La crisi, prima finanziaria, poi economica, quindi sociale e politica, la crisi proteiforme e mutante, ebbene, sta ancora tutta intera dentro le nostre società. E poco di quello che (non) è stato fatto è servito. Il pronto-soccorso si è trasformato in lungo-degenza. Le medicine sono state e sono esse stesse la malattia. Oggi la moneta, creata dal nulla, è il derivato di se stessa, la quantità di finanza è maggiore di prima. Giulio Tremonti traguarda il decennio della Grande Crisi e si riporta ad «allora», a quando tutto è cominciato e lui, più solo che isolato, scriveva ne 'La paura e la speranza' che "il tempo che sta arrivando è un tempo di ferro".

È l’agosto del 2007, quando "dalle profondità misteriose del capitalismo finanziario salgono in superficie scosse fortissime, che spezzano certezze fino a ieri assolute". "A questa altezza di tempo è ormai abbastanza diffusa l’idea che c’è stata una crisi. Ma fino a poco tempo fa ancora dominavano idee negazioniste o scambiste, idee che scambiavano quello che abbiamo vissuto come un’esperienza congiunturale, una variante lungo la continuità. E non invece come un cambio di paradigma, una rottura del sistema. E se vai su Google trovi quanto erano sballate le tesi degli ‘esperti’".

Che cosa ha impedito ai più di cogliere l’essenza di quello che è arrivato già dieci anni fa? "È mancata l’analisi delle cause. E invece, per capire gli effetti, devi partire dalle cause".

Rimettiamole in sequenza. "La crisi non è il prodotto di una maledizione imperscrutabile che si è abbattuta sui nostri campi. Ma l’effetto di una sequenza di eventi. Per capirlo, seguiamo gli artisti che con la loro sensibilità ci prendono più degli altri: alla Galleria nazionale d’Arte moderna di Roma, Time is Out of Joint ha messo, uno dietro l’altro, in disordine, quadri di epoche diverse, di ieri, di oggi".

Ci traduca i quadri nella storia degli ultimi decenni. "Nel 1989 cade il Muro di Berlino. Nel ’94 l’accordo di Marrakech, con la nascita del Wto, promuove l’ideologia politica del mercatismo. Nel ’96 con la seconda presidenza Clinton si forgiano tutti gli strumenti necessari per lanciare la globalizzazione finanziaria: si permettono i derivati speculativi, il risparmio della gente può essere usato per speculare e non solo per investire, si rende possibile la commistione banche d’affari-società di capitali, le operazioni finanziarie si fanno senza più rapporto con la realtà, vere e proprie scommesse. Un assetto non tanto deregolato, ma molto di più: dominato dall’anomia, in cui ideologia e rete si autoalimentano".

Che mondo si voleva costruire? "Un mondo nuovo per l’uomo nuovo. Un mondo che pone, sicut Deus , il mercato sopra tutto. Sopra i popoli, sopra i Parlamenti, sopra la democrazia, sopra le tradizioni. Con un potere finanziario, politico, accademico che tende a questo obiettivo attraverso una sconfinata quantità di legislazione mirata a cancellare le differenze, le origini".

Lei però non è stato solo uno studioso: tra il 2008 e il 2011 ha gestito il terzo debito del mondo come ministro dell’Economia. "E infatti fin dalla primavera del 2008 un capitolo del programma del Pdl è dedicato a 'una crisi che arriva e si aggrava'. Non solo: il primo atto del governo fu il decreto legge dei tre anni per mettere al sicuro i conti. E nel maggio del 2011 il governatore Draghi riconosceva che la gestione del pubblico bilancio era stata prudente, che l’obiettivo del pareggio era appropriato e che le correzioni necessarie potevano essere inferiori a quelle dell’area Euro".

Ma poi arriva un altro agosto, quello del 2011, e, dopo, l’autunno dello spread: che cosa salta? "Crollano le banche francesi e tedesche e, per oscurare le colpe dei più forti, si scatena la speculazione contro l’Italia, dove troppi sono ansiosi di fare, come nel Cinquecento, la chiamata dello straniero. Habermas lo definì un dolce colpo di Stato. Un colpo di Stato realizzato con lo spread. Oggi comunque i migliori manuali spiegano che i colpi di Stato si fanno non con gli spread ma facendo saltare le banche. E anche questo vuol dire che la crisi non è finita".

Non è finita soprattutto perché non sono mai arrivate regole per impedire il suo espandersi in altre e nuove forme? "Sì, passato il primo impatto, fu inventato il Fsb ( Financial Stability Board ), che ha prodotto una quantità infinita di regole destinate a essere auto-abrogate. Io proponevo, invece, gli Eurobond e il Fondo salva-Stati. O, ancora, il Global Legal Standard in ambito Ocse e G7, inteso come Trattato internazionale multilaterale di principi e regole per l’economia e non solo per la finanza. Ma niente è stato tradotto in realtà".

E così siamo di nuovo alla paura e alla speranza. "Sì, ma i popoli si stanno ribellando. La talpa populista, figlia della stessa crisi, ha eroso il terreno su cui è stata costruita la cattedrale mercatista e globalista. Il voto dei popoli sta rifiutando l’ingerenza delle élite nella vita degli altri. E dice che non puoi ignorare le paure e le speranze che vengono da fuori (le migrazioni) o dal futuro (i robot). Puoi solo cercare l’equilibrio di un giusto mezzo".

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