Giovedì 25 Aprile 2024

Doppio bluff

di Antonio Troise

UN #PASSOAVANTI. E uno indietro. Da una parte gli hashtag e le promesse del governo, quasi l’anticipo di una “campagna elettorale 2.0”. Dall’altra i numeri dell’economia che fanno suonare una sveglia decisamente poco gradita per il premier. Il maxi taglio delle tasse da 45 miliardi di euro in cinque anni annunciato dal capo del governo può anche far sognare gli italiani. Così come i numeri dei nuovi posti di lavoro creati con il Jobs Act. Peccato che per ridurre le imposte, come ha ricordato ieri Padoan, bisogna anche fare altrettanto con le spese. E peccato che i tanti posti di lavoro sbandierati con la riforma, in realtà sono più il frutto di un miraggio “statistico” che di una reale crescita dell’economia. Senza considerare, poi, la novità dell’ultima ora: lo slittamento, a sorpresa, dei quattro decreti attuativi che avrebbero dovuto completare il Jobs Act. Fra questi, anche la contestata norma sul controllo a distanza dei dipendenti da parte dei datori di lavoro, anche con smartphone e telecamere. Ma, al di là degli scontri politici, resta il fatto che il cammino del governo sul terreno dell’economia resta tutto in salita.

È IL CASO, ad esempio, delle tasse. Nel 2016 l’esecutivo vuole cancellare la Tasi sulla prima casa per tutti e l’Imu per le imprese agricole e i capannoni industriali. Una misura sacrosanta. Ma è ancora in cerca di coperture sostenibili e, soprattutto, affidabili in sede Ue. Gran parte delle risorse previste nella prossima manovra finanziaria dovrebbe arrivare, infatti, da quei margini di flessibilità nel rapporto deficit/Pil che il premier conta di incassare a Bruxelles. Un ‘tesoretto’ di circa 16 miliardi, tutt’altro che sicuro, da puntare proprio sulla riduzione delle imposte. Il ragionamento è semplice: tagliando le tasse si mettono in moto i consumi e, quindi, anche l’economia, centrando quell’obiettivo di una crescita dell’1,4% prevista dal Documento di economia e finanza. Tutto bene, allora? Non proprio così. Per convincere i burocrati di Bruxelles ad allargare i cordoni della borsa bisogna portare sul tavolo misure concrete e non previsioni virtuali. Ma, soprattutto, occorrerà vedere che cosa dirà il Parlamento quando si troverà a decidere sul più imponente taglio della spesa corrente mai realizzato fino ad ora, più di dieci miliardi di euro in anno. Cifre così non si vedevano dal lontano 1992, la manovra ‘lacrime e sangue’ di Amato. E, fra i capitoli già individuati dalla cosiddetta spending review, ci sono settori ad alto rischio, come la sanità o gli enti locali. Comuni e Regioni sono già sul piede di guerra.

Ma anche sul lavoro il quadro resta tutt’altro che roseo. Il Jobs Act ha avuto sicuramente il merito di stabilizzare migliaia di rapporti precari. Ma questo non significa, automaticamente, che sono stati creati nuovi posti di lavoro.

IN REALTÀ, il balzo in avanti (del 39%) dei contratti a tempo indeterminato è frutto della trasformazione dei rapporti di lavoro a termine pre-esistenti. Non c’è stato, insomma, come ha certificato l’Inps, vera occupazione aggiuntiva: il saldo fra i nuovi contratti e le cessazioni si ferma, per ora, a 117mila nuovi posti. L’emergenza occupazione è tutt’altro che superata.Su lavoro e tasse, hashtag e slogan servono a ben poco. La realtà è che per creare nuovi posti occorre rimettere in moto l’economia. E, per far ridurre le tasse occorrono tagli alla spesa seri e credibili. Questa volta i ‘gufi’ non c’entrano: possono dormire sonni tranquilli.

di Antonio Troise