Mercoledì 24 Aprile 2024

"Chi abortisce non è fuori dalla Chiesa"

Il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi, ricorda che l'aborto resta "un peccato grave", ma la pena della scomunica, comminata dal diritto canonico, va interpretata in maniera diversa dal significato comune

Papa Francesco (ImagoEc)

Papa Francesco (ImagoEc)

Città del Vaticano, 8 aprile 2017- Eminenza, nel caso di aborto il diritto penale canonico commina la pena della scomunica 'latae sententiae', cioè automatica: la donna e chi coopera all'interruzione di gravidanza è fuori dalla Chiesa, così come si ritiene a livello comune?

"Dobbiamo superare il concetto generico di scomunica. La situazione nel caso dell’aborto è diversa da quella di chi, tanto per intenderci, dichiara di voler lasciare la confessione cattolica per diventare buddista. In quell’ipotesi si dice correttamente che la persona è scomunicata nel senso che non fa più parte della Chiesa. Di contro, chi abortisce si trova sì in una situazione gravemente irregolare, ma è ancora nella comunità ecclesiale".

Sullo sfondo del documento 'Misericordia et misera' con cui papa Francesco ha concesso a tutti i preti la facoltà di assolvere dalla pena della scomunica connessa col peccato d'aborto, il presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi della Santa sede, il cardinale Francesco Coccopalmerio, rimarca la tendenza inclusiva della Chiesa bergogliana. Anche su un tema delicatissimo come quello dell’interruzione di gravidanza.

Cardinale, il fraintendimento linguistico è invalso tra la gente. Non sarebbe meglio sanarlo, mettendo mano al Codice di diritto canonico?

"Come dicastero stiamo riflettendo sulla possibilità di un chiarimento semantico".

Dopo il documento del Papa sull’estensione della facoltà di assoluzione dal peccato di aborto si era parlato anche di una possibile abrogazione della connessa pena della scomunica.

"Si sono scritte troppe cose, molte anche imprecise. Quello che posso dire è che si sta lavorando a una riforma complessiva del diritto penale canonico. Per quello che riguarda l’aborto, questo resta un delitto molto grave che merita perciò una pena molto grave, sia o non sia in futuro la scomunica".

Dall’aborto al divorzio, perché ha deciso di scrivere un commento al testo del Papa sulla famiglia, dal titolo "Il capitolo ottavo dell’esortazione apostolica post sinodale Amoris laetitia"?

"L’ho fatto, perché al Sinodo sono intervenuto più volte sul tema dei divorziati risposati che il Pontefice affronta nel capitolo ottavo del suo documento. Volevo chiarire a me stesso, e il più possibile anche ad altri, il contenuto del complesso capitolo VIII".

Come si spiegano tutte queste resistenze a un testo che apre solo parzialmente all’Eucarestia per chi si trova in condizione di unione non legittima?

"Ritengo vi sia una diversa prospettiva di partenza nell’affrontare la questione. Alcuni, considerando la dottrina sull’indissolubilità del vincolo e la norma conseguente che vieta la Comunione a chi si trova in unione non legittima, sostengono che una persona possa ricevere l’assoluzione e quindi l’Eucarestia solo se interrompe tale legame. Altri, invece, considerano importante sottolineare come in certe situazioni, per esempio allorquando vi siano dei figli piccoli che non si possono abbandonare senza produrre ulteriori ferite, la capacità d’agire del singolo è evidentemente limitata così che, nonostante il proposito di cambiare, cioè di lasciare l’unione non legittima, non è possibile farlo".

Lei sposa questo secondo orientamento?

"Insieme con il Papa credo sia giusto discernere i singoli casi e, nell’ottica dell’accesso ai sacramenti, valorizzare le intenzioni, il cuore del fedele, in presenza, lo ripeto, di una concreta impossibilità di agire diversamente".