Giovedì 25 Aprile 2024

Elio e le Storie note

Le Storie erano note e troppo estese. Elio, Faso, Cesareo, Rocco Tanica, che già era andato via, gli altri della band vivevano da anni in progetti artistici e personali paralleli. Fra baseball, musica e tv. Non sono stati la più grande band italiana, sensazionale sciocchezza appena letta, ma l'unica capace di usare tutti i linguaggi, musicali, teatrali e di testo, per una satira degna, per sarcasmo creativo, delle avanguardie pop del Novecento. Elio, l'ingegnere che ha studiato in conservatorio e interpreta Mozart,  è il manifesto del gruppo. Raffinatissima cover band nei locali milanesi agli esordi, avendo capito di non essere all'altezza dei modelli, ha scelto il canone inverso: la destrutturazione parodistica e ironica di ogni forma, il virtuosismo esasperato, una stile che nasce dalla negazione del luogo e della percezione comune. Dove la geniale e sulfurea ambiguità del messaggio diventa il loro pass partout universale: basta ridere, non è necessario capire. Si va dal vecchio gioco di parole al surrealismo, passando per Mozart e Pappagone. "Il vitello dai piedi di balza", "Pippero", "Born to be Abramo", "Rapput", "John Holmes". "Fossi figo", "La terra dei cachi", "El Pube", "Natale allo zenzero", "Amico Ulligano", "Tapparella", "Essere donna oggi", "Plafone", "Uomini col borsello".   A volte bastano i titoli, fra il cabaret e la satira sociale. C'è tutta la cultura e la controcultura  milanese degli ultimi decenni, la musica nera, la follia zappiana e mozartiana, una cultura musicale enciclopedica ed elegante. 

Sono i figli negazionisti degli anni Ottanta, intellettualmente astemi, dal pensiero più forte delle loro canzoni. Filosofi. Non sono, dunque suono. Illuministi e moderni, musicalmente atei, fuori tempo solo rispetto ai social e meravigliosamente up tempo. Non si possono specchiare nel mondo d'oggi, infatti si travestono spesso per sembrare di ieri. Guardano il dito e infilzano la luna, come una grande anguria. Il primo giorno di gioia li attende.