Giovedì 25 Aprile 2024

"Renzi a casa se vince il No". De Benedetti ritorna Cassandra

LA PRIMA intervista all’ingegner Carlo de Benedetti in cui annunciava che il mondo era ormai arrivato al capolinea l’ho fatta io. Credo più di quarant’anni fa. Siamo ancora qui tutti e due, lui peraltro molto più ricco di quanto non fosse allora. Credo che poi abbia replicato lo stesso tipo di profezia circa una volta ogni dieci anni, o anche meno. Non si sa da dove gli arrivi questa propensione per il macabro. Propensione che nel corso degli anni si è estesa un po’ a tutto. Per anni, ad esempio, è andato spiegando a chiunque volesse sentirlo che la Fiat era fallita. Invece è diventata una multinazionale di tutto rispetto. A essere scomparse del tutto (o finite in altre mani) sono le aziende nella cui gestione è stato coinvolto in prima persona: non c’è rimasto niente. Il grande impero industriale che doveva costruire negli anni Settanta non si è mai visto e oggi consiste sostanzialmente nei giornali del gruppo Repubblica, che altri hanno fondato e che lui ha comprato. Tutto il resto (Olivetti, Omnitel, Gilardini, Sorgenia, Valeo, ecc.) è finito nel vuoto o in casa d’altri. A parte questo ruolo di Cassandra che si è autoassegnato, adora la politica. Anzi, probabilmente è la cosa che lo interessa di più. E è sempre stato un filo spostato più a sinistra del suo ambiente. Sin da giovane, quando scelse di fare l’obiettore di coscienza. Ma già allora aveva una doppia personalità: dalla fureria dove era finito giocava infatti in Borsa, arricchendo se stesso, marescialli e tenenti. Per le cose che si muovono sul listino ha sempre avuto molto occhio. Il mondo sta per crollare, ma intanto compriamo dollari contro yen oppure Generali contro Telecom. Ma queste, va detto, non sono mai state attività molto impegnative: in genere le liquida in mezz’ora, magari anche prima di fare colazione. La sua vera passione, come si è già detto, è la politica. Come un po’ tutti gli altri imprenditori. Fare andare le aziende è noioso: i conti devono quadrare, bisogna tagliare i costi, inventarsi qualcosa per aumentare il fatturato, azionisti che protestano per il dividendo. La politica, invece, è meravigliosa: una sorta di Monopoli per bambini diventati grandi. Se metto De Mita contro Craxi o Bersani contro Renzi faccio tombola, cambio la storia. Se al referendum faccio vincere il no, Renzi deve andarsene a casa e allora, diavolo, dovranno ben ascoltarmi. Spera. Infatti la politica gli ha procurato finora solo delusioni, nel senso che va dove vuole andare e non gli dà retta. Non sopportava Craxi, ma è andato a palazzo Chigi. Berlusconi manco a parlarne, ma per vent’anni è stato un suo incubo. Letta andava bene, ma è durato poco. Renzi era un boy-scout, e quindi non c’entra niente con “noi”. Se il 4 dicembre perde va a casa («deve andarsene», precisa) e i giochi ricominciano. E, forse, per una volta qualcuno mi darà retta. Sono il più grande editore di giornali che ci sia in Italia, quindi sono un potere: e mi devono ascoltare. Ma nessuno lo fa. D’altra parte nemmeno lui dice che cosa bisognerà fare dopo il 4 dicembre, a parte liberarsi di Renzi. Non lo dice perché forse sa che sarebbe inutile: se il mondo finisce il 5 dicembre, di cosa stiamo a discutere?