Venerdì 26 Aprile 2024

Cannes, ecco The sea of trees di Gus Van Sant

A inoltrarsi nell'immensa foresta piena di cadaveri è il professore universitario Matthew McConaughey. Ma un viaggio verso la morte si trasforma nel suo opposto

Da sinistra Naomi Watts, Matthew McConaughey e il regista Gus Van Sant (Afp)

Da sinistra Naomi Watts, Matthew McConaughey e il regista Gus Van Sant (Afp)

Cannes, 16 maggio 2015 - Un’immensa foresta piena di cadaveri, seminascosti tra il fogliame o appesi ai rami. Sembra l’incipit di un ennesimo horror, tanto più che l’autore della sceneggiatura Christopher Sparling è, anche se in chiave colta, uno specialista del genere. Ma le prime inquadrature rivelano subito la natura poetica del mortifero luogo, assolutamente in linea con l’ispirazione di Gus Van Sant che su i last days e sulla morte ha scritto pagine cinematografiche di grande sensibilità. A cui oggi dobbiamo aggiungere The sea of trees, presentato (stamani) in Concorso al Festival di Cannes.

A inoltrarsi nel mare di alberi è il professore universitario di matematica Matthew McConaughey. Vedovo, afflitto dal complesso di colpa per una vita anaffettiva, è deciso al suicidio e quel bosco ai piedi del Monte Fuji - che Google gli ha indicato come the perfect place to die - raggiunto con un volo one way dagli States, è la sua ultima meta. I lamenti di un giapponese (Ken Watanabe) l’obbligano però a interrompere gli ultimi gesti dell’atto estremo. L’aiuto portato a questo imprevisto compagno di sventura è l’inizio di un capovolgimento che trasforma il viaggio verso la morte nel suo opposto.

I due vivono le peripezie di chi si smarrisce nella foresta. Freddo, pioggia, mancanza di cibo e di riparo. Feriti e contusi si aiutano a vicenda e sopravvivono grazie alle spoglie dei cadaveri mummificati o putrefatti: vestiti, scarpe ma soprattutto un accendino e un provvidenziale walkie talkie. Disavventure e incidenti sono frammezzati dalle memorie e dai racconti che il professore fa all’ “amico giapponese”. Scorre a sprazzi la routine di una vita matrimoniale infelice fatta di ripicche, contrasti, accuse, sotto cui scorre quel desiderio di reciproco affetto di molte coppie infrante. Oltretutto la moglie, Naomi Watts, alcolizzata, muore prematuramente sottraendo al marito l’occasione di un risarcimento amoroso da sempre programmato.

La foresta, già luogo di espiazione nella ritualità giapponese dei morituri (Mizoguchi, Imamura, e Naomi Kawase innanzitutto), finisce per ripetere il percorso tortuoso della vita del professore: le cadute, gli errori, le ferite, i salvataggi in extremis replicano le vicende matrimoniali in una specularità fin troppo marcata.

Il ruolo di riscatto assegnato alla natura in linea con molto recente cinema americano (vedasi film come Into the Wild di Sean Penn o Wild di Jean-Marc Vallée), messo in risalto dallo stesso regista, è in linea con una cultura eco-new-age a cui altri film Gus Van Sant già indulgevano. Ma il tramite della cultura giapponese (come non ricordare i fantasmi di Restless) aiuta The sea of trees a evitare pericolosi cliché (talvolta sfiorati) e a conservare quel tasso di mistero necessario alla messa in scena di tutto ciò che passa accanto alla morte.

The sea of trees non è probabilmente destinato ad alcuna palma ma sicuramente all’apprezzamento di chi sa stare fuori dal coro. Che ha deciso per questo film un ostracismo ingiustificato.

Voto 7e 1/2