Giovedì 25 Aprile 2024

"Vinciamo col sorriso, anche senza piste"

Il presidente della Fidal Stefano Mei e il magic moment dell’atletica: "Servirebbero impianti all’altezza delle altre nazioni europee"

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di Doriano Rabotti

Se non è il presidente di federazione più invidiato, poco ci manca. Stefano Mei è diventato il numero uno della Federatletica pochi mesi prima che Tamberi, Jacobs e la staffetta vincessero l’oro a Tokyo. Da persona intelligente, citò Napoleone e i generali fortunati che sono meglio di quelli bravi, perché sapeva benissimo che non aveva avuto il tempo per incidere sui risultati. Non così presto, non così tanto.

A due anni dalla sua elezione, però, l’Italia continua a vincere medaglie. E Mei può permettersi di sentirle più sue, legittimamente.

Mei, che cosa ci lascia l’ultimo Europeo indoor?

"Un’atletica in grande salute, come da due anni a questa parte. E non è un caso, perché abbiamo puntato gran parte del portafoglio sul settore tecnico, magari facendo economie altrove. Sugli allenatori abbiamo messo investimenti importanti".

Basta questo per spiegare il boom degli azzurri?

"No, è chiaro che in due anni non si potevano inventare tanti atleti. Diciamo solo che i talenti c’erano già, ma avevano solo bisogno di maggiore considerazione".

Essere un ex atleta l’aiuta?

"Penso di sì, anche se evito volutamente di immischiarmi nel lavoro dei tecnici. Credo che uno dei segreti dei nostri successi sia il rispetto dei ruoli: posso anche dare qualche consiglio ogni tanto perché certe situazioni le ho vissute e ci sono passato, ma non sono mai troppo pressante. La nostra è una nazionale col sorriso".

Quanto conta lo spirito di emulazione? Tamberi e Jacobs hanno mostrato che si poteva fare...

"Vero, tanti nostri ragazzi ora ci provano più di prima perché hanno quell’esempio negli occhi. Il caso più clamoroso è Ceccarelli, che è riuscito a battere il suo idolo. È vero che sulle prestazioni di Marcell ci sono dei se e dei ma, ma sono tranquillo, mi aspetto che possa ritrovarsi a Budapest".

E’ arrivata anche la Iapichino.

"Non avevamo molti dubbi...Larissa è stata solo sfortunata, se mi passate il termine, a saltare 6,91 a 18 anni, troppo presto. Questa cosa ha finito per caricarla di pressioni anche mediatiche, anche da chi non è un addetto ai lavori. Quando dicevo che doveva pensare alla maturità prima che alle Olimpiadi, mi guardavano strano...e invece io ci sono passato, quando sei ancora poco più che un adolescente certi pesi non sono facili da portare. Ma a Istanbul l’ho vista cambiare faccia quando le hanno tolto temporaneamente il terzo posto. Mentre tornava verso la zona di rincorsa, prima di saltare aveva gli occhi della tigre".

A proposito di figli d’arte: si è appena consumata la separazione tra Tamberi e suo padre.

"Prima però erano arrivati insieme al massimo traguardo, non dimentichiamolo. Ci sono dinamiche familiari e tecniche, sapevo che dopo aver scongiurato il primo addio era solo questione di tempo. Ma abbiamo grande rispetto di entrambi, anche Marco, il padre, continuerà a lavorare con noi".

Mei, i successi si stanno traducendo in tesserati.

"Aumentano sempre, certo se potessimo contare anche sui milioni di italiani che corrono per strada per conto loro...finora non è mai stato possibile, vediamo se stavolta ci riusciamo".

Resta il problema degli impianti.

"Ed è un problema grosso, mancano quelli e le risorse. Quando penso ad Amsterdam o a Londra e poi sento dire che a Milano o Roma non abbiamo gli impianti, divento matto. Certo è una questione di cultura generale, ma lo sport ha un ruolo sociale importante. Possibile che questo sia notato solo quando vinciamo?".