Bravo, anzi bravissimo lo stesso. Vero: Jannik Sinner non è riuscito ad arrampicarsi sulla montagna russa e ha ceduto in due set (7-5, 6-3) a un Daniil Medvedev d’acciaio, a parte qualche doppio fallo di troppo. Va detto subito: le condizioni meteo proibitive - caldo pazzesco e umidità insopportabile – hanno influito più sul nostro tennista che su Medvedev, perchè poi l’eco di quella grande partita, di quelle tre ore di battaglia a trecento all’ora contro Carlos Alcaraz era ancora lì. Nella testa, nelle gambe, nella ’fame’ probabilmente. Non è un caso che sin da subito si sia notato come Jannik fosse un po’ sulle gambe già dai primi scambi con il Frecciarussa. Pensavamo fosse la tensione della finale, il morso dell’emozione che si sarebbe poi sciolto via via. E invece.
Jannik il suo trionfo l’aveva già consumato mettendo al tappeto l’amico e numero uno al mondo Carlitos Alcaraz. La sua Miami si era fermata lì, come le gambe. E allora, già sul 4-3 Medvedev nel primo set, Sinner ha dovuto chiedere l’intervento del fisioterapista e del medico. Infortuni no, ma le gambe molli e l’affaticamento sì. Al punto che, oltre alla bustina di integratore da sciogliere nell’acqua, il medico ha aggiunto un paio di pastiglie per rimettere in moto gambe e testa di Sinner. Gli è servito per tenere fino al 5-6, ma poi è arrivato quel break di prepotenza del russo con Jannik a battersi forte sulla coscia, ripetutamente, come a dire: "Non mi mollate adesso, non adesso". E invece alla fine, nel conto degli scambi ’lunghi’, i più faticosi, la netta superiorità di Medvedev racconta come vi sia stata una netta supremazia a ivello atletico.
Come in quella canzone però, oltre le gambe c’è di più. Tatticamente Jannik non è riuscito a tirare fuori un affresco tale da mettere in crisi l’avversario. Ha cercato di usare la sua ultima affilatissima arma, la palla corta, sbagliandola sistematicamente. Ha tentato di sfruttare le zone a lui più congeniali del campo, in avanzamento, ma Medvevev non glielo ha mai consentito, costringendolo a giocare su mattonelle assai poco amiche dal punto di vista tattico.
D’altra parte sia chiaro, con la cura Vagnozzi-Cahill è un fatto che il gioco di Sinner sia cambiato radicalmente. Servizio più potente, palla corta, maggior varietà di colpi, interpretazione tattica della partita con diverse opzioni percorribili. Diverse però, non tutte. Almeno per adesso. Un fatto transitorio, certo, perchè è chiaro come da questo punto di vista Simone Vagnozzi lavorerà per fare in modo che non ci sia una settima sconfitta - Sinner ha perso sei su sei contro Medvedev - con un avversario che per ora resta molto difficile da interpretare. Perchè se è vero che la sfida con Alcaraz sarà, sì, a tutto talento ma anche di una ferocia atletica non comune e all’insegna del puro istinto tennistico è altrettanto vero che per battere un Medvedev in crescita prepotente come questo, serve un match più cerebrale, pensato, immaginato colpo dopo colpo. E invece per Jannik, svuotato dalla straordinaria semifinale con Alcaraz è stato profondo russo.
Un russo che, per dire, ha vinto 24 degli ultimi 25 match e ne ha persi solo tre su 29 dall’inizio dell’anno. E si capisce ancora di più quanto sia tornato ai suoi livelli dal salto in classifica: a metà febbraio era numero 12 del mondo, oggi si sveglia da numero 4, dietro a Djokovic, Alcaraz e Tsitsipas. Per Sinner invece, la soddisfazione di aver giocato un grande torneo, di aver battuto il numero uno al mondo e e di aver eguagliato il suo best ranking con il nono posto nella classifica Atp (sarà ottavo lunedì prossimo) e, soprattutto, il 4° nella Race per le Finals di Torino.
E adesso, dopo aver registrato il salto di qualità di Jannik, con l’inizio della stagione sulla terra (dal 9 al 16 c’è il 1000 di Montecarlo) c’è attesa per capire come il suo tennis ’nuovo’ e tatticamente evoluto si adattera alla superficie più lenta.