Giovedì 25 Aprile 2024

"Mi basta una mano per ribaltare il mondo"

Riccardo Cardani, paralimpico di snowboard, pratica cinque sport e suona tre strumenti anche se non può usare il braccio destro

Migration

di Doriano Rabotti

Una mano sola basta e avanza, per spostare le montagne degli alibi. Chiedete a Riccardo Cardani, se avete dubbi.

Cardani, ci racconta quanti sport pratica?

"Quello principale è lo snowboardcross nel quale sono riuscito ad andare alle Paralimpiadi di Pechino. Ma in generale ogni sport che ha una tavola per me deve essere sperimentato, quindi skateboard e wakeboard. Poi mi piace fare motocross e ogni tanto esco con il quad. E prima di passare allo snowboard ho fatto nuoto a livello nazionale".

Ci risulta che sia anche musicista: quanti strumenti suona?

"Tanti. Quello che so suonare meglio è la batteria, che ho studiato per una decina di anni, è stato il mio primo strumento. Spesso uso anche chitarra elettrica e pianoforte, poi se mi capita in mano un basso, non mi tiro indietro".

E nel tempo libero, se gliene rimane, che cosa fa?

"Mi diverto a fare videoediting, quando viaggio faccio riprese e poi creo dei minifilm, delle piccole storie".

E già così sembrano tantissime cose per una persona sola. Ma manca un dettaglio.

"Quale?"

Che lei può usare solo la mano sinistra da quando aveva 17 anni, ovvero 13 anni fa. Che cosa è successo?

"Sono stato vittima di un incidente stradale mentre andavo al lavoro e ho perso l’uso del braccio destro, mi ruppi la clavicola e i nervi del braccio furono tranciati. Da allora ho perso la sensibilità e l’uso del braccio, lì la mia vita ha svoltato".

Come ha fatto a superare i momenti più duri?

"E’ stato molto difficile, perché questo tipo di disabilità porta molto dolore, la parte che mi ha richiesto anni di fatica è stata proprio imparare a sopportare il dolore. Poi quando ti succede una cosa del genere e sei così giovane, sei arrabbiato col mondo. Mi hanno aiutato molto la mia famiglia e la mia ragazza, per arrivare a fare quello che faccio adesso".

Faceva così tanto anche prima dell’incidente?

"No, in realtà ora faccio molte più cose, è una sfida. La prima è stata superare l’incidente, poi ogni volta che mi dicevano che qualcosa non era possibile, io dovevo riuscirci. Dovevo dimostrare a me stesso che non c’erano limiti".

A quali modelli si è ispirato?

"A Michael Jordan, perché era il più grande nel suo sport e perché è stato un grande professionista anche fuori dal campo".

Da Bebe Vio a Zanardi, da Sabatini a Contrafatto: molti sportivi paralimpici diventano esempi e aiutano gli altri a superare barriere.

"Quando ho avuto l’incidente io non volevo uscire di casa, non accettavo di farmi vedere. E io non avevo ancora questi modelli a cui ispirarmi: se oggi qualcuno trova coraggio vedendoci fare sport, se riesce a svoltare dopo qualcosa di brutto vedendo gli sforzi che ci mettiamo noi, è la vittoria più bella".

Lei rifiuta gli alibi. E’ incosciente, o si è solo liberato da qualche zavorra mentale?

"Io volevo sfidare l’impossibile, già provarci è abbattere una barriera. E se ci metti impegno e volontà, arrivi dove vuoi arrivare. Bisogna ignorare il dolore e spingere".

Che emozione ha provato alle Paralimpiadi di Pechino?

"Era già bellissimo essere stato convocato, poi al di là dei risultati l’ho vissuta benissimo, anche la cerimonia. E’ il sogno di ogni atleta, e io sapevo di essere arrivato lì dopo aver dato il massimo".

Ha un nickname, Rikifreerider: vuole fare l’influencer?

"No, non mi interessa. Tanto la gente lo vede già sul web che cosa faccio".

E chi non l’ha visto, lo faccia...