Mercoledì 24 Aprile 2024

La guerra e il ring del soldato Usyk

Leo Turrini

In Italia per tante ragioni non si parla più di pugilato come un tempo. Lontana è l’epoca delle imprese di Nino Benvenuti e c’è chi dice che in fondo è un bene, perché la boxe prosperava, anche in termini di popolarità, in quanto antidoto contro la povertà diffusa.

Ci sarebbe da discuterne, ma qui e ora val la pena segnalare la storia di un colosso Made in Ucraina. L’altra notte, su un ring in Arabia Saudita, il 35enne Oleksandr Usyk si è confermato redei pesi massimi nella versione WBA, WBO, IBF e IBO (abbiate pazienza, la boxe moderna è un delirio di sigle!) battendo un’altra volta il celebre asso britannico Joshua.

Al di là del dato strettamente agonistico (il mio collega Gianfranco Troina, un maestro a bordo ring, sostiene che Usyk è uno dei pugili più intelligenti mai visti sul quadrato), qui c’è un romanzo tra le pieghe di un combattimento. A conferma ulteriore di come lo sport non sia mai separato dalla realtà socio-culturale. E stavolta non c’entra la miseria. Bensì una stretta parente della medesima: la guerra.

Originario della Crimea, questo nipotino di Ali non ha esitato ad andare volontario al fronte, quando Putin ha aggredito il suo paese. Usyk stava già preparando il match bis con Joshua, ma non si è tirato indietro.

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