Paolo Grilli
Il Barça esulta. Pagherà giusto 35 milioni all’anno (più bonus assortiti), fino al 2026, per lo stipendio lordo di Leo Messi, bandiera, pilastro ed essenza stessa del club: un affare, rispetto alle cifre del vecchio contratto. La Juve non fa salti di gioia, ma sorride di gusto sapendo che con ogni probabilità Cristiano Ronaldo, l’altro alieno del calcio mondiale, resterà e magari potrà spalmare il suo ingaggio su due anni rinnovando fino al 2023.
Nell’era del Covid i miti non vengono risparmiati dall’ondata di ritocchi al ribasso che sta ridefinendo, dolorosamente, tutto il sistema. E devono scendere a compromessi, ben sapendo però che le relative squadre di appartenenza, per questioni commerciali oltre che di rendimento in campo, farebbero parecchia fatica a liberarsi di loro.
Sul mercato si scambia, chi spende è un’eccezione. Come il Psg: con Donnarumma, Wijnaldum, Ramos e Hakimi (la lista però non è finita) arrivati in pochi giorni, ha reso il concetto di crisi pandemica molto relativo. E poi c’è il Chelsea: l’anno scorso Abramovich sborsò 240 milioni in un’estate ed è arrivata la Champions, ora non vuole tirare i remi in barca. E vuole Haaland. Senza contare poi il City, altra isola felice del calcio. In Italia i club devono affidarsi al modello Mancini: bisogna osare con cuore e cervello in mancanza di stelle consacrate. Ma ora sappiamo che anche così può funzionare.