Martedì 30 Aprile 2024

Il clima che cambia. I docenti dell’Università: "Mappare la diversità dei vini italiani"

La professoressa Parpinello dell’Alma Mater di Bologna illustra i progetti "Vitigni resistenti Piwi, nel nostro Paese rappresentano lo 0,5% del totale. Il futuro? Interpretazione di nuovi terroir e aggiornamento dei disciplinari".

Il clima che cambia. I docenti dell’Università: "Mappare la diversità dei vini italiani"

Il clima che cambia. I docenti dell’Università: "Mappare la diversità dei vini italiani"

Gamberini

Anche il mondo del vino deve fare i conti con il cambiamento climatico e prepararsi a nuove sfide. La ricerca però continua a fare i suoi passi, come spiega Giuseppina Parpinello, coordinatrice del Corso di laurea in Viticoltura ed Enologia dell’Alma Mater di Bologna.

Professoressa, il clima sta cambiando il mondo del vino?

"Il clima è in continuo cambiamento e da sempre i produttori hanno adattato la coltivazione della vite a tali graduali cambiamenti. In Italia negli ultimi 20 anni la temperatura media è aumentata di circa 1,5°C e il settore vitivinicolo, per la sua diffusione capillare, è particolarmente esposto. Il riscaldamento globale in atto provoca uno sfasamento fisiologico nelle fasi di pre-germogliamento della vite e maturazione dell’uva. In particolare, l’anticipo del germogliamento rischia di esporre la pianta alle ultime gelate e grandinate primaverili, mentre l’anticipo di maturazione rischia di sbilanciare l’equilibrio dolcezza/acidità, particolarmente importante nelle uve a bacca bianca, e interferisce con la sintesi di polifenoli e aromi".

Quali vitigni e quali zone sono particolarmente soggetti a tali cambiamenti?

"Il contesto generale penalizza maggiormente i vitigni a maturazione più precoce – ad asempio i rossi Pinot, Merlot e Primitivo, e i bianchi Chardonnay e Riesling – nei quali risulta problematico preservare l’acidità soprattutto se in pianura e zone costiere. In Italia circa il 50% dei vigneti si colloca in aree al di sotto dei 300 metri, e le Regioni con prevalenza di vigneti in aree di pianura sono Veneto, Emilia-Romagna, Puglia, Sicilia e Friuli Venezia Giulia. I programmi di sviluppo rurale (PSR) finanziati dalla Unione Europea sono uno strumento utile a livello regionale per sostenere le aziende vitivinicole a realizzare gli adattamenti necessari della filiera produttiva".

Quali studi sta portando avanti l’Unibo in questo senso?

"L’Università è molto attiva nel settore agro-alimentare, incluso l’ambito vitivinicolo. Tra le iniziative di maggior rilievo c’è il progetto nazionale D-Wines che ha mappato la diversità chimica e sensoriale dei principali vini rossi e bianchi italiani grazie alla partecipazione delle principali Università: Bologna, Napoli, Padova, Torino, Trento e Verona. Le misure oggettive sono alla base della conoscenza, e se oggi parliamo di riscaldamento globale è grazie al fatto che la temperatura è stata misurata nel tempo e nello spazio. Analogamente, in ambito enologico il progetto D-Wines ha fornito le misure analitiche che sono la base per valorizzare le potenzialità enoiche del nostro Paese".

Si parla da tempo di vitigni resistenti, a che punto sono ricerca e applicazione?

"Il contributo della selezione genetica è fondamentale e ciò include lo sviluppo di nuovi portainnesti e la diffusione di vitigni più resilienti agli stress da eccesso di calore, luminosità e siccità – quest’ultima intesa come distribuzione anomala delle piogge nel tempo. Prima di parlare dei nuovi ‘vitigni resistenti’ va fatto un cenno agli oltre 500 vitigni autoctoni autorizzati che, giunti in Italia a seguito di migrazioni storiche e contaminazioni genetiche, sono oggi coltivabili in aree vocate in grado di esaltare le loro peculiarità nei diversi terroir. Poi ci sono i ’vitigni resistenti alle malattie fungine’, noti come Piwi (acronimo della parola tedesca Pilzwiderstandsfähige)".

Ci spieghi.

"Sono vitigni selezionati per consentire una significativa riduzione dell’uso dei pesticidi. Nel 2021 l’UE ne ha autorizzato l’impiego anche nei vini a denominazione di origine, previa: iscrizione nel Registro Nazionale delle varietà di uva da vino; autorizzazione a livello regionale; modifica del disciplinare di produzione a opera del consorzio di tutela. Oggi l’Austria punta molto su questi vitigni, e la Francia nel 2022 ha autorizzato l’uso nella Doc dello Champagne del vitigno resistente Voltis come complementare al 5%. In Italia i Piwi autorizzati sono circa 37 e rappresentano circa lo 0,5% della superficie nazionale (nessuna DOC), con particolare diffusione in Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Veneto ed Emilia-Romagna. Ovviamente, oltre alle durature prestazioni agronomiche, per avere successo a livello commerciale un vitigno non può prescindere dal possedere caratteristiche sensoriali eccellenti. Vitigni autoctoni e ‘resistenti’ rappresentano una importante risorsa di biodiversità, e lo loro valorizzazione implica un confronto con l’immaginario collettivo dei consumatori e una loro adeguata informazione culturale".

Cambierà la geografia del vino in futuro?

"È difficile prevedere come cambierà il clima; tuttavia, a livello mondiale è iniziata una delocalizzazione della viticoltura verso nuove aree con caratteristiche pedoclimatiche congeniali, ad esempio situate a quote e/o latitudini più elevate e con minore esposizione alle radiazioni solari. In questo contesto, una rigorosa valutazione del microclima locale è fondamentale per una efficiente ricollocazione geografica delle aree di coltivazione della vite a lungo termine. Per affrontare al meglio questa sfida globale servono soluzioni locali con approcci inclusivi e multidisciplinari che coinvolgano ricercatori, produttori e consumatori. Tutto ciò implica l’interpretazione di nuovi terroir e l’aggiornamento circostanziato dei disciplinari di produzione per declinare il legame con il territorio unendo tradizione e innovazione".