Mercoledì 1 Maggio 2024

Cent’anni di Gallo Nero: "I punti di forza del Chianti Classico: la varietà e il territorio"

La direttrice del consorzio, Carlotta Gori: "Momento ricco di emozioni, ogni attività è contrassegnata dalla celebrazione del secolo di storia. Siamo stati i primi ad avviarci in un percorso virtuoso". .

Cent’anni di Gallo Nero: "I punti di forza del Chianti Classico: la varietà e il territorio"

Cent’anni di Gallo Nero: "I punti di forza del Chianti Classico: la varietà e il territorio"

Pellegrini

Un centenario in splendida forma. Già: è passato un secolo da quando i 33 "padri fondatori", grandi vignaioli ma evidentemente anche imprenditori lungimiranti, decisero di dare vita al Consorzio Vino Chianti Classico. "E questo è un momento molto particolare, ricco di emozioni", dice Carlotta Gori, da sei anni e mezzo direttrice, prima donna al vertice tecnico del Consorzio. "Ogni attività – continua – è contrassegnata da questa celebrazione. Compreso Vinitaly, momento di massima esposizione".

Che traguardo è, questo centenario?

"Eccezionale, riempie di emozione anche sul piano personale, io sono nel Consorzio da 28 anni. È un segnale: i Consorzi contraddistinguono il sistema agroalimentare italiano, segnato da questo sistema per le produzioni di qualità. Ed essere stati i primi in questo percorso virtuoso riempie di orgoglio".

Un buon momento anche sul piano economico?

"La denominazione presenta numeri positivi, l’imbottigliamento è in linea con il primo trimestre del 2023. Certo, l’ultima vendemmia ha dato una resa inferiore ma il mercato non ne risente, è stabile, e le principali piazze di riferimento tengono bene".

Ma è proprio un danno, questo calo di produzione del 2023?

"Se è dovuto al clima è sempre negativo per l’impresa, lavori un anno intero, devi portare a casa i frutti. Però è vero, il Chianti Classico è un vino longevo, da invecchiamento, quindi ne risente forse meno, la perdita si diluisce negli anni".

Nel frattempo sono arrivate le Uga, Unità geografiche aggiuntive. Una sigla che sa di burocratese, ma il significato è importante.

"Entrano sul mercato nelle etichette della Gran Selezione, si concretizza finalmente il progetto anche sullo scaffale. Un bello stimolo nel percorso verso la massima territorialità: ancora è presto per capire se la scelta paga, ma l’obiettivo è alimentare la curiosità del consumatore esperto, intercettare chi pone attenzione a quello che beve, e intanto stimolare di più i produttori a cercare l’identità di territorio. C’è grande attenzione, ci incoraggia".

Resta l’impressione di confusione sulla parola Chianti, con due consorzi che la portano nel marchio.

"È un dato di fatto ma non è un dramma, i percorsi sono ormai diversi, il messaggio prima o poi arriva. La nostra scelta strategica è non dare rilievo alle differenze, ma investire su quello che siamo. E l’elemento distintivo è il Gallo Nero. Raccontare le differenze alimenterebbe la confusione".

C’è ricambio di generazione, tra i produttori?

"I giovani ci sono, e sono presenti e dinamici, e hanno anche acquisito aziende. Sono molto attivi nell’appartenenza al contesto associativo del Consorzio, e dà fiducia la spinta alla ricerca di identità e l’interpretazione del loro modo di fare vino a fianco del Consorzio. Poi, i figli e i nipoti dei grandi imprenditori storici continuano a investire nelle aziende di famiglia. A Vinitaly avremo un seminario sui Galli Neri under 40".

Se dovesse individuare un punto di forza del Chianti Classico, a cosa guarderebbe?

"La forza è la varietà dell’offerta di 350 imprenditori che lavorano su tutta la filiera, dalla vigna alla vendita delle proprie bottiglie. Amplificare l’offerta e generare curiosità è un grande valore pure se nasce da una grande fatica, ma è punto di forza perché il vino non si omologa, c’è varietà di identità. E poi, questo territorio parla alle orecchie, agli occhi e al cuore di chi cerca salubrità, sostenibilità, ambiente. E sa parlare di cultura: attraverso il vino si intercettano consumatori che hanno voglia di andare oltre la bottiglia".

E un punto di debolezza?

"Non ne conosco. Tutto il settore, del resto, soffre i cambiamenti climatici e investe in attività di parziale riparo e cura del territorio. E si sente la necessità di più strade alla ricerca dell’identità".

Mercati: si aprono nuovi scenari?

"Siamo, presenti in 180 paesi ma il 45% del nostro export va in Usa e Canada, vorremmo aumentare la presenza su uno spettro di riferimento più ampio, abbiamo progetti triennali per portare il Chianti Classico al giusto riconoscimento nel Nord Europa. E mettiamo più attenzione a Giappone e Corea, comunque già fidelizzati. Poi c’è la buona performance degli ultimi due anni sul mercato italiano. Un grandissimo risultato di fronte a un’offerta ormai vastissima".