Lunedì 29 Aprile 2024

Valanghe killer: "Io, medico e volontaria. Vi racconto l'altra parte del Soccorso alpino"

Valeria De Paolis, 38 anni, abruzzese, anestesista in ospedale. "La montagna richiede allenamento e preparazione. Quando capita un disastro, sulla paura prevale lo spirito di squadra"

Valeria De Paolis

Valeria De Paolis

Teramo, 11 febbraio 2021 - E poi ci sono le donne. Le soccorritrici. Quelle che prendono e partono, a tutte le ore di tutti i giorni dell'anno, esattamente come fanno i colleghi. "Veramente ora la trincea è sempre più l'ospedale, quindi ho diradato le missioni", si racconta Valeria De Paolis, 38 anni, medico anestesista e rianimatore nell'ospedale di Teramo, dal 2012 volontaria del Soccorso alpino, compagna di un istruttore nazionale. Insomma, passione di famiglia. 

Valeria de Paolis con il compagno Rubino
Valeria de Paolis con il compagno Rubino

Angelo sui disastri.

"Ero a Rigopiano, nel 2017.  Invece l'anno prima, per il terremoto di Amatrice, sono stata precettata in ospedale".

Ventinove morti nell'hotel cancellato dalla valanga e salvataggi miracolosi. Giampaolo Matrone, il pasticcere di Monterotondo.

"E' rimasto  62 ore sotto le macerie. Facevo parte della squadra che l'ha portato in salvo".

Lo scavo, i cunicoli nella neve, anche per far uscire i bambini, tutti scampati. 

"Normale. Non sono entrata  nel Soccorso come medico. Ho sostenuto prove di arrampicata, scialpinismo, alla fine sono una figura tecnica. Non è che il ruolo sanitario mi sgrava dall'attività in ambiente difficile". 

Serve molta forza, una donna è svantaggiata?

"Ho sempre avuto una fisicità molto spiccata, sarà perché ho tutti fratelli maschi. Questa parte è senz'altro fondamentale. Poi oggi il lavoro in ospedale assorbe tantissima energia, sto rivalutando altri aspetti. Come quello di supporto, una squadra di soccorritori può sentirsi più tranquilla, confortata, dal sapere che c'è un medico".

Il pericolo è il vostro mestiere. Ma un soccorritore in azione ci pensa?

"Quando sei sul campo ti fai tanta forza, ti senti parte di un gruppo.  Scatta un istinto di protezione verso i compagni, è una situazione particolare... Di fronte alle difficoltà si trovano una carica e un livello di attenzione che magari non penseresti neanche di avere".

Concentrati sull'obiettivo?

"Per essere soccorritore devi avere qualcosa di innato che ti spinge a metterti in gioco. Altrimenti non lo potresti fare. Ma il rischio dev'essere ben ponderato. Per dire, a Rigopiano avevamo tutti l'Arva addosso, c'erano vedette  per valutare la situazione della neve in quota".

Poteva staccarsi un'altra valanga.

"Sì ma non ti butti a capofitto senza precauzioni.  Anche nelle attività su roccia vengono previste tutte le manovre per garantire la sicurezza della squadra".

Lei ha 38 anni. Si è posta un limite di tempo?

"No ma credo che sarà la vita a farlo. Oggi le energie sono concentrate sull'ospedale. Magari sono capitate allerte, poi rientrate. Ma le squadre erano già pronte. Io invece ero di turno, non potevo andare. Il lavoro del medico ospedaliero è davvero molto impegnativo, spesso sottovalutato. E i mezzi non sono il massimo di quello che si può avere. Vedo tanta tenacia, buona volontà, umanità. E poi: oggi non ho figli. Se dovessi averne, l'idea di mollare tutto di notte per fare la ricerca di qualcuno...".

Cosa c'è nel bagaglio di un soccorritore?

"Conoscenza degli aspetti tecnici, delle manovre di soccorso, della cartografia, dei metodi di geolocalizzazione, di metereologia, nivologia... E poi l'esperienza che dà la  frequentazione assidua e consapevole della montagna. Quindi non la toccata e fuga o l'arrampicata vicino alla strada asfaltata ma proprio la permanenza in ambiente. Niente è banale.  Non perdiamo il senso del limite".

Se non lo posti sui social non esiste?

"Sembra così. Non basta fare le passeggiate. Invece mi capita di sentire anche persone che chiedono di entrare nel Soccorso alpino come volontari, quasi fosse un gioco. Vado in montagna, perché no?, è il ragionamento. Non è così. Insisto, non c'è solo l'allenamento.  Servono anche conoscenza del territorio, preparazione tecnica, gestione del rischio. Entrano in gioco tante competenze.  Dietro a un intervento c'è davvero molta preparazione. Ciascuno ha il proprio ruolo. C'è chi non va sul posto e magari da casa  verifica la posizione del collega. Bisogna avere già la strada tracciata, se qualcosa va male".