Sembra ieri. Almeno per chi c’era. E invece sono già passati 41 anni. Era cifra tonda dodici mesi fa, ma il disastro alluvione ha fatto slittare l’anniversario di una delle imprese più spettacolari nella relazione sentimentale tra Imola e la Ferrari.
Correva l’anno 1983. I tifosi della macchina di Maranello ancora non avevano elaborato il lutto per la tragica perdita di Gilles Villeneuve. Il pilota canadese rappresentava molto più di un campione al servizio della causa. Con la sua audacia senza limiti, aveva reincarnato il mito di Tazio Nuvolari. E non a caso il Drake aveva accostato Gilles a “Nivola”, in un memorabile testo pubblicato nel 1981, all’indomani dell’ultimo successo in carriera di Villeneuve (in Spagna). Un driver così, un manico così non era sostituibile. Qualcuno poteva fisicamente occuparne il posto nell’abitacolo della Rossa. Ma non sarebbe stata la stessa cosa.
Per l’ingrato compito, Enzo Ferrari scelse un gentiluomo francese. Patrick Tambay aveva talento e non si sottrasse alla sfida più difficile. Fu dignitoso per risultati e splendido per integrità morale. Contribuì validamente alla conquista di due titoli iridati costruttori, 1982 e 1983. Gli ultimi vinti da Enzo Ferrari. Ma, oltre gli allori, ci sono episodi che caratterizzano una vita, un’esistenza, una passione. Al pilota francese capitò di consumare il momento più grande della carriera proprio davanti al popolo che aveva trasformato Villeneuve in un idolo assoluto.
Accadde perché doveva accadere, si disse poi. Accadde perché il cuore di Imola, dalla Tosa alla Rivazza, passando per le Acque Minerali, batteva come se su quella Ferrari ci fosse ancora e sempre Gilles.
Invece c’era Tambay. Il placido Tambay, il paffuto Tambay. L’anti eroe per eccellenza. Chiamato dal destino a confrontarsi con una Storia forse più grande di lui. In un delirio di folla, in quel 1983 così remoto e così vicino, si trovò a lottare con la Brabham dell’italianissimo Riccardo Patrese. I giochi sembravano fatti a favore di quest’ultimo, ma Riccardo finì fuori pista. E Tambay si ritrovò al comando, sulla macchina di Villeneuve, davanti a un popolo che immaginava ci fosse Gilles, sotto il casco.
"Fu allora che avvertii una sensazione strana – mi avrebbe raccontato Tambay a decenni di distanza –. Ero in testa, non mancava molto, ma ero fisicamente esausto. Temevo di non farcela a concludere la gara. Fu il pensiero di Gilles, che era stato un mio caro amico, a darmi la forza di continuare. Ho sempre pensato che senza il suo aiuto non sarei transitato per primo sotto la bandiera a scacchi…"
Chissà. Di sicuro quella domenica Imola si commosse come mai prima e forse come mai dopo. Tambay, spentosi pochi mesi fa, considerò sempre quell’impresa la gemma più preziosa della carriera. Sono passati 41 anni. Ma sembra ieri, per chi c’era.