Domenica 5 Maggio 2024

Un'enoteca nella storia

Luca Bonacini

Luca Bonacini

«QUI fino al 1870 c’erano solamente vigne, orti e qualche isolato casolare – racconta Paolo Trimani – erano le campagne che lambivano Roma e l’antica cinta muraria aureliana». Siamo in via Goito, dove sorge l’Enoteca Trimani, nel centro della capitale. E’ una delle leggendarie insegne italiane del vino, oggi condotta dai fratelli Paolo, Francesco, Giovanni e Carla, figli di Rosalena e Marco, fine scopritore di talentuosi vignaioli, ed è la più antica enoteca di Roma, 250 metri di negozio, 1.000 metri di magazzino e accanto il primo wine bar d’Italia aperto nel ‘91. All’interno alcune migliaia di bottiglie in buon ordine e un elegante ‘frigorifero’ in marmo di Carrara che riporta alla fondazione del palazzo e fino agli anni ’80 raffreddava con un flusso continuo di acqua corrente il vino sfuso contenuto in orci di terracotta giunto dai Castelli romani, dalla Sicilia, dalla Puglia. «Poi negli anni ’20 si videro le prime bottiglie e il nonno e suo fratello cominciarono a realizzare i primi listini prezzi, che elencavano vini, vermouth, brandy e negli anni ’30 anche whisky, champagne, cognac, reclamizzati attraverso piccoli capolavori di grafica. Dopo la Seconda Guerra, negli anni ’50 aumentò l’assortimento e nel ’60 si era già triplicato con Mascarello, Pio Cesare, Fontanafredda, Bersano, Marchesi di Barolo, Gaja, mentre nel ’90 diventiamo produttori, rilevando Colacicchi in Ciociaria».

LA STORIA del vino italiano passa dalla famiglia Trimani, al timone di una delle enoteche più importanti d’Italia che ha ispirato i più grandi narratori del vino, con un magazzino che oscilla tra i 4.000 e i 6.000 vini, pronto ad esaudire le richieste dei più esigenti collezionisti e di una clientela internazionale protetta da una privacy ferrea: «Una delle bottiglie più rare che ci è passata per le mani è il Brunello Biondi e Santi 1891 – conclude Trimani – la seconda annata imbottigliata da Ferruccio Biondi e Santi, che mio padre acquistò nei primi anni ’60 mentre cercava un ’55 sollecitato dalla presidenza del Consiglio che l’aveva richiesta per una cena importante, ma non sono mancati il mitico Fiorano di Alberico Boncompagni, il Tignanello 1971, il Sassicaia 1968, le perle di Castello di Ama e Monfortino, le annate di Gianfranco Soldera dall’83 in poi, quelle epiche di Romanèe Conti e Chateau d’Yquem insieme agli altri grandi francesi».