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Così unire le forze aiuta i pazienti

Reumatologia, a Bologna percorsi integrati fra gli ospedali Sant’Orsola, Maggiore e gli ambulatori del territorio

19/03/2023 - di Donatella Barbetta

Accelerare la presa in carico del paziente con malattia reumatologica attraverso visite ed esami tempestivi in modo da arrivare il più in fretta possibile alla diagnosi, garantendo un’assistenza innovativa a oltre 15mila pazienti residenti nella Città metropolitana di Bologna.

 

Sono gli obiettivi della nuova unità operativa complessa interaziendale di Medicina interna a indirizzo reumatologico dell’Azienda Usl di Bologna e dell’Irccs Policlinico Sant’Orsola, diretta da Massimo Reta.

 

Come funziona la rete?

«Dalla scorsa estate abbiamo puntato sull’integrazione tra territorio e ospedale. La nostra équipe è formata da 18 medici specialisti, ai quali si aggiunge il personale infermieristico, e opera su 16 centri territoriali di primo livello, ossia gli ambulatori nei distretti, e su due centri ospedalieri di secondo livello, il Maggiore e il Sant’Orsola, sebbene nella rete siano compresi anche il Rizzoli e l’ospedale di Imola», risponde Reta.

 

Lo scopo è favorire le cure vicino a casa?

«Sì. La collaborazione tra le due Aziende nasce perché desisderiamo offrire una maggiore prossimità della cura e garantire un’omogeneità nell’assistenza. Quindi, invece di far girare i pazienti tra una struttura sanitarie e l’altra, sono i nostri professionisti che si spostano e vanno nei distretti per le visite. Così la prima visita d’accesso può essere eseguita vicino a casa, come gli accertamenti standard».

 

E se c’è bisogno di esami più approfonditi?

«I malati vengono inviati negli ospedali dagli stessi medici quando la complessità lo richiede, la presa in carico è unica: gli stessi specialisti che hanno valutato il paziente possono cooperare nel proseguimento del percorso in ospedale».

 

Si può essere indirizzati indifferentemente in uno dei due ospedali della rete?

«Si cerca di privilegiare la prossimità alla residenza, ma quando il paziente è complesso generalmente viene inviato al Maggiore, dove c’è una collaborazione più stretta con la medicina interna, mentre al Sant’Orsola, Irccs e centro universitario, abbiamo come mission la collaborazione con discipline come la nefrologia, la dermatologia e la gastroenterologia».

 

Quanti pazienti avete in carico?

«Oltre 15mila residenti nella città metropolitana di Bologna e nell’ultimo anno, quando l’integrazione non era ancora compiuta, abbiamo assicurato oltre 30mila prestazioni diagnostiche e terapeutiche, di cui quasi 10mila visite».

 

Qual è la strada da percorrere per arrivare alla prima visita con uno specialista?

«Per intercettare precocemente le persone con malattie reumatiche, abbiamo dato il via a un Pdta, ossia un Percorso diagnostico terapeutico assistenziale».

 

Di che cosa si tratta?

«Quando il medico di famiglia intercetta dei sintomi sentinella, tra cui il dolore e il gonfiore a più articolazioni, può richiedere una visita reumatologica con urgenza, facendo una croce sulla casella B della prescrizione».

 

E in quanto tempo si viene visitati?

«Il paziente con la prescrizione si rivolge al Cup ed entro dieci giorni riceve un appuntamento in un punto della rete, quello più vicino al suo domicilio. Bisogna arrivare in fretta alla diagnosi, perché i danni causati da una malattia reumatica, come per esempio eventuali erosioni delle articolazioni, si verificano entro due anni dall’esordio».

 

Pensate di coinvolgere anche i medici di medicina generale nella rete?

«Potremmo dire che sono già coinvolti, perché abbiamo messo a loro disposizione un numero di telefono dedicato a cui possono rivolgersi per dubbi e consulti. Troveranno un infermiere o uno specialista che risponde alle loro domande».

 

È in programma anche la telemedicina?

«La televisita è una realtà da quasi 2 anni e viene effettuata al Maggiore: ora ne usufruiscono 200 pazienti. E nell’ospedale di San Giovanni in Persiceto abbiamo allestito un laboratorio reumatologico con lo specialista e gli infermieri dove si eseguono terapie complesse infusionali delocalizzate dall’ospedale di riferimento».

 

 

Artrite reattiva, come curarla

 

Non tutte le artriti sono uguali e hanno le stesse conseguenze. Ne sono riconosciute oltre 100 forme, tra cui le più gravi e insidiose sono l’artrite reumatoide (patologia infiammatoria cronica autoimmune che coinvolge le articolazioni di mani, piedi, polsi, caviglie, ginocchia, anca, gomito e spalla) e la spondilite anchilosante (causa un progressivo irrigidimento della colonna vertebrale).

 

C’è poi l’artrite reattiva, infiammazione delle articolazioni dovuta a un’infezione urogenitale o gastrointestinale. È causata da un agente patogneo esterno, che attacca un substrato genetico predisposto a sviluppare un’artrite: la risposta immunitaria condiziona l’insorgenza dalla patologia.

 

Un’artrite reattiva può provocare infiammazione alle articolazioni, agli occhi e all’uretra oppure si sviluppa a breve distanza da un’infezione intestinale, del tratto urinario o anche della gola. Si verifica più frequentemente nei pazienti sopra i 40 anni. Il trattamento prevede gli antibiotici contro l’infezione.

 

Per alleviare i sintomi si utilizzano antinfiammatori non steroidei (FANS), alla sulfasalazina o a immunosoppressori. Sempre utile la fisioterapia per preservare la mobilità articolare.