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’Bambini in bolla’, la terapia genica funziona

Uno studio dell’Istituto San Raffaele-Telethon di Milano riporta i dati di 43 pazienti trattati con una delle prime terapie approvate

19/02/2024 - di Alberto Levi
malattie rare

Inserire l’Ada-Scid, rara immunodeficienza nota come malattia dei ‘bambini in bolla’, fra le patologie che possono essere diagnosticate alla nascita con lo screening neonatale. E garantire la cura della malattia con terapia genica a tutti i pazienti che ne hanno bisogno e possono beneficiarne. L’appello arriva da clinici e scienziati dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (Sr-Tiget) di Milano, autori di uno studio che conferma l’efficacia e la sicurezza a lungo termine della terapia genica per l’Ada-Scid. Un lavoro pubblicato su ‘Nature Medicine’, che dimostra come i 43 bimbi trattati a partire dal 2000 hanno ricominciato a vivere.

 

L’Ada-Scid è una malattia genetica molto rara: l’incidenza annuale è stimata tra 1/375.000 e 1/660.000 di nati vivi e, in base ai dati sui nuovi nati nell’Unione Europea (circa 4 milioni l’anno), si stima che ogni anno nascano tra i 6 e i 11 bambini con questa patologia nei 27 paesi Ue. È dovuta al difetto nel gene dell’adenosina deaminasi, un enzima essenziale per la produzione e la maturazione dei linfociti. Senza questa proteina, il sistema immunitario non si sviluppa correttamente e non riesce a combattere le infezioni più comuni, che possono risultare anche fatali. Questi bambini sono quindi costretti a vivere in un ambiente sterile e isolato, da cui l’espressione di “bambini bolla”.

 

Attualmente la terapia di prima scelta è il trapianto di cellule staminali ematopoietiche da donatore familiare compatibile, che può curare la malattia ma è disponibile in meno del 20% dei casi. Quando non è fattibile, la terapia genica rappresenta una valida opzione terapeutica: si somministra una sola volta e consiste in un vettore di origine virale contenente una versione corretta del gene difettoso nei pazienti. Il vettore permette di ripristinare la produzione della proteina mancante,e le cellule corrette, reinfuse nel sangue, sono in grado di dar vita a linfociti funzionanti e di difendere così l’organismo dalle infezioni.

 

«In questo lavoro descriviamo come anche dopo la commercializzazione la terapia genica per l’Ada-Scid continui a essere sicura ed efficace, come già dimostrato nella fase sperimentale iniziata nel 2000» commenta Maddalena Migliavacca, immunologa pediatra e ricercatrice nell’Unità Operativa di Immunoematologia Pediatrica dell’IRCCS Ospedale San Raffaele. «I pazienti sono tutti vivi e nella maggior parte dei casi non hanno avuto bisogno di ulteriori terapie curative dopo la terapia genica. La loro qualità di vita è migliorata sensibilmente, hanno potuto sottoporsi regolarmente alle vaccinazioni, andare a scuola e condurre finalmente una vita in comunità. Nei pochi casi, circa il 15%, – in cui il trattamento non ha funzionato, siamo potuti intervenire con successo con il trapianto da donatore. Continueremo a seguire i nostri pazienti per almeno 15 anni» L’osservazione sul lungo periodo di questi pazienti ha messo in luce ancora una volta l’importanza della diagnosi precoce, evidenziano gli esperti.

 

«La risposta al trattamento – sottolinea Maria Pia Cicalese, immunologa pediatra e ricercatrice dell’università Vita-Salute San Raffaele – è migliore quanto prima riusciamo a intervenire, perché si riduce l’arco di tempo in cui la malattia può danneggiare l’organismo. Ecco perché è fondamentale che si diffonda quanto più possibile lo screening neonatale. Purtroppo, però, siamo ancora lontani da un’applicazione di questo tipo di esame sull’intera popolazione». Attualmente in Italia né l’AdaScid né le altre immunodeficienze combinate gravi fanno parte del pannello nazionale di screening neonatale. Alcune regioni hanno attivato dei progetti pilota: la prima è stata la Toscana, già nel 2011. Negli ultimi anni la Campania e la Liguria hanno condotto dei programmi di screening a scopo di ricerca, così come l’azienda ospedaliera universitaria di Padova e il centro screening di Palermo.

 

Le ultime Regioni ad aver introdotto lo screening sono state l’Abruzzo, la Puglia e la Lombardia. Gli autori del nuovo studio sollevano poi il problema della «disparità di accesso alla terapia genica. Il farmaco viene somministrato soltanto in Italia, presso l’Irccs ospedale San Raffaele, unico centro autorizzato». Inoltre, se per i pazienti italiani il rimborso da parte del Servizio sanitario nazionale è automatico, per quelli di altri Paesi dell’Unione europea avviene soltanto previa autorizzazione da parte del sistema sanitario della nazione di provenienza. La Fondazione Telethon ha fatto in questi anni un grande sforzo per facilitare l’accesso grazie al programma di accoglienza e dal 2023 è diventata responsabile della produzione e distribuzione del farmaco, scongiurandone il ritiro dal mercato dopo il disinvestimento da parte dell’azienda produttrice (Orchard Therapeutics) visto lo scarso ritorno economico.