Lunedì 29 Aprile 2024

Percorso minato

Che la situazione nelle ultime settimane sia cambiata lo dimostra un fatto: qualche tempo fa Renzi poteva permettersi di dire «ogni volta che Rosy Bindi apre bocca guadagno voti», ieri invece non appena ha letto un’intervista di fuoco in cui la pasionaria democratica minacciava la scissione dal Pd, il premier è salito al Quirinale.  Il voto di domenica ha lasciato il segno e la battuta sull’astensione come «ininfluente» era troppo sgrigativa per essere vera, anche per uno come Renzi che sa essere sì ribaldo con tendenza al maramaldeggiamento spinto, ma ha fiuto e intelligenza politica raffinata.

Il premier ha così compreso che il vento potrebbe cambiare e il terreno sotto i suoi piedi farsi sdruccioloso. Anzi, è già sdruccioloso. Anche perché deve guardarsi non solo le spalle, ma pure i fianchi. Se infatti la nave del Pd imbarca acqua, il suo segretario ne viene oggettivamente indebolito, ma se fa acqua anche la zattera Forza Italia — come sta accadendo — per Renzi i problemi sono forse maggiori. Paradossi di questa fase politica disassata, a geometrie variabili, con maggioranza a tema, di intese larghe ma mascherate.

Una fase politica in cui il leader dell’opposizione si augura (addirittura scrivendolo in un documento) che il governo duri fino a fine legislatura e il capo del governo tifa con tutto se stesso che il capo dell’opposizione non venga disarcionato. Come in un’alluvione in cui anche i torrentelli più innocui si fanno d’improvviso minacciosi, il premier vede l’acqua della ribellione esondare da tutte le parti, dentro il suo partito e in quello dell’altro contraente del «patto». Certo, la carta che lo sta sorreggendo in questi mesi, quella dell’«ultima occasione per l’Italia», regge ancora e reggerà per un po’, ma i nodi stanno venendo al pettine, e per giunta tutti insieme: una parte del Pd non resiste al richiamo della foresta e inaugura una guerriglia suicida probabilmente destinata al niente, in ogni caso fastidiosa, Forza Italia implode, l’Italicum traballa, l’economia non riparte e Napolitano non ne vuol sapere di restare al Quirinale qualche mese in più. 

Un percorso di guerra che andrà attraversato quasi tutto con voti a scrutinio segreto. In pratica un campo minato, nel quale è facilissimo saltare per aria, e per evitare il quale occorre prendere corpose contromisure, cioè fare politica. E il premier sta cercando di farla. Ecco il senso dell’incontro con Napolitano per concordare il cammino e trovare una sponda, ecco lo spauracchio delle urne agitato con la frase «se il Parlamento lavora arriva al 2018» (come dire, se non lavorate come dico io si va a casa prima, e le liste le faccio io»), ecco il continuo lavorìo interno al Pd dei suoi uomini più dialoganti (in primis Guerini) che produce i suoi frutti (la Bindi in serata arretra). Bastone e carota, come ai vecchi tempi, sperando che basti e passi la nottata. Come dire, renziani a parole democristiani nei fatti.