È festa e solo festa deve essere. Né risposte da dare, né polemiche da attizzare. La Lega festeggia a Varese i quarant’anni di vita (era nata, all’epoca, come Lega autonomista lombarda) nel segno della pacificazione interna. Anche se il giorno prima è venuto da Gemonio l’affondo-rimprovero del patriarca fondatore: serve una nuova leadership dopo che la Lega per Salvini premier ha deragliato e smarrito gli ideali originari.
Parola d’ordine o tacito accordo, dal comandante in capo ai grandi nomi del partito, dai quadri intermedi ai militanti, la giornata deve essere consacrata solo a festeggiare e magari e ricucire. Umberto Bossi, ombra che si allunga da Gemonio a Varese o convitato di pietra, è presente in piazza Cacciatori delle Alpi, sotto il monumento ai garibaldini che nel 1859 le suonarono agli Austriaci. Piazza del Podestà è un luogo evocatore, una sorta di golfo mistico nell’epopea leghista: qui, nel 1986 (Matteo Salvini aveva 13 anni) Bossi non ancora senatùr inaugurò la prima sede leghista in Italia.
"Ringrazio colui che tutto ha cominciato – scandisce dal palco Salvini in una piazza che si è riempita a poco a poco fino a essere gremita –. Senza Umberto Bossi non saremmo qui, in questa splendida giornata di sole, e milioni di italiani non parlerebbero di libertà. L’avevo invitato, avrà fatto altre scelte, va bene così". Esaurita la parte ufficiale, i giornalisti circondano il segretario. "Nei miei 30 anni di Lega – dice Salvini – non ho mai dimenticato le telefonate diurne e notturne di Bossi, per rimproverarmi e anche insultarmi. Mi servivano e mi servono per capire e migliorare. Mi rimproverava allora come mi rimprovera oggi".
Viene seguito e incalzato passo passo da giornalisti (e dall’ombra del grande vecchio della Lega) fino al gazebo dove è pronta la torta dei quarant’anni. "A Bossi, visto che ha costruito tutto, tutto è permesso". Sì, azzarda una voce che esce da un groviglio di microfoni, registratori, penne e taccuini, questo è un problema nel Lega? "Bossi può dire quello che vuole. Sono sempre consigli utili". Polemiche al bando o da affogare nella risottata che chiude la festa. Unica lunghezza d’onda. "Moralmente Bossi è sempre il nostro capo", dichiara il governatore della Lombardia Attilio Fontana, che subito sottolinea "moralmente".
Un grande applauso, soprattutto dalla periferia della piazza, saluta l’intervento di Giancarlo Giorgetti. Dal ministro dell’Economia un plauso a Salvini che porta avanti la battaglia. "Abbiamo capito – prosegue – che non bisogna mollare mai. Certo volte bisogna urlare, altre stare zitti. Certe volte bisogna reagire, altre sopportare. Sono regole che continuo a considerare avendo fatto il segretario della Lega Lombarda. Sono regole fatte di gerarchia e disciplina, che non devono mai diventare servilismo, sarebbe un errore". Parole che suonano come un richiamo a chi vorrebbe cambiare bandiera o sostituire il conducente del treno leghista e forse anche come un richiamo al dibattito interno.
"Oggi è il giorno della festa e non delle polemiche", taglia corto Roberto Calderoli. Marco Bordonaro, segretario cittadino di Varese, tocca il tasto degli affetti: "La Lega è una grande famiglia e lui (Bossi, ndr) è il padre politico di tutti noi. Noi lo chiamano ‘l’uomo che ci ha fatto conoscere’. Grazie a lui ci siamo noi". "Condivido – dice Riccardo Molinari, capogruppo alla Camera – l’analisi di Salvini: Bossi si ascolta, si rispetta e non si commenta. E non penso che Bossi si faccia influenzare da chicchessia". Ammette però che "i disagi della base vanno ascoltati" e che ci sia "una questione settentrionale da riportare al centro dell’agenda".
E non a caso Fabrizio Cecchetti, segretario della Lega Lombarda, nel suo intervento insiste sul fatto che tutti i ministri del Carroccio vengono dalla regione da cui tutto è iniziato, e che Salvini, come ministro delle Infrastrutture, ha sbloccato in Lombardia cantieri per 12 miliardi. Le zampate del vecchio leone hanno lasciato qualche segno.