Martedì 30 Aprile 2024

Minniti si candida alla guida del Pd. "Ma non sono l'uomo di Renzi"

L'ex ministro scende in campo ufficialmente: "Il partito non ha risposto alla rabbia e alla paura della gente"

Marco Minniti, Matteo Renzi sullo sfondo (LaPresse)

Marco Minniti, Matteo Renzi sullo sfondo (LaPresse)

Roma, 18 novembre 2018 - Marco Minniti scioglie le riserve e, com'era atteso, si candida alla guida del Pd. L'ufficializzazione non arriva in assemblea, ma prima in un'intervista a Repubblica e poi in televisione, nella trasmissione 'In mezz'ora in più' di Lucia Annunziata. 

L'ex ministro dell'Interno del governo Gentiloni rivendica la sua indipendenza da Matteo Renzi. "Se sono il suo candidato? Io sono Marco Minniti penso di aver dimostrato in questi anni di aver una capacità di autonomia politica e una cosa che non si può dire è che io non abbia dimostrato carattere - dice in tv -. Essendo stato tra chi non ha esagerato nel lodarlo quando era al potere, non ho alcun bisogno di prenderne le distanze. Renzi ha perso e si è giustamente dimesso assumendosi responsabilità che vanno anche oltre le sue". Piuttosto Minniti si sente l'uomo dei sindaci:  "Parliamo dei 550 che hanno firmato un appello", perché si candidasse, dice a Repubblica. 

La questione Renzi è comunque superata, aggiunge: "Il tema ora non è più questo, ma come salvaguadare il progetto riformista. Connettere il riformismo al popolo. So bene che le scorse elezioni sono state più di una sconfitta. C'è stata una rottura sentimentale con i nostri elettori. Questa è la sfida del Congresso". 

Nell'intervista alla Annunziata Minniti concede un'unica incursione nel privato. "La mia famiglia ha una piccola resistenza sull'idea che io abbia deciso di candidarmi", confessa senza però entrare nei dettagli.

GLI SFIDANTI - Nella corsa per la segreteria dovrà vedersela con Nicola Zingaretti, principale rivale, Matteo Richetti, Maurizio Martina (il segretario uscente sarebbe prossimo a lanciare la sua candidatura), Francesco Boccia, Cesare Damiano e con l'outsider Dario Corallo. Intanto incassa l'endorsment di Calenda e Fioroni. 

Di Zingaretti dice che "non è un avversario, mai ne parlerò male", si legge su Repubblica. E rilancia la necessità di un patto: chi vince dovrà avere "la collaborazione di tutti". L'obiettivo è comune: la "sconfitta del nazionalpopulismo", possibile "solo si riesce a parlare con la società italiana". La ragione del flop del Pd è che "non abbiamo risposto a due grandi sentimenti: la rabbia e la paura. Non si può rispondere a chi ha perso il lavoro con la freddezza delle statistiche. Dicendogli che l'occupazione cresce. Così come non si può dire al cittadino che ha subito un furto in casa, che i reati diminuiscono". Cambiare nome al partito? "Non serve. Semmai dobbiamo unirlo. Ora sembriamo una confederazione di correnti. E una confederazione di correnti non può vincere".