Lo scandalo dei dossieraggi non si arresta. Al contrario, è una slavina che si gonfia ogni giorno di più. E si porta dietro inevitabilmente un’impennata furibonda delle polemiche politiche. L’ariaccia che tira sale fino al Quirinale, dove la preoccupazione si taglia a fette. Dopo l’audizione esplosiva di Raffaele Cantone, la premier aspetta qualche ora prima di andare all’attacco. Quando lo fa, giocando in casa in un’intervista a Diritto e Rovescio su Retequattro, si mette a posto l’elmetto ("lo indosso sempre") e spara a palle incatenate: "Ci sono alcuni funzionari dello Stato, pagati dai cittadini, che accedono a banche dati che dovrebbero essere usate per combattere la mafia, per passare informazioni sensibili su politici che sono considerati non amici ad alcuni giornali, in particolare al quotidiano di De Benedetti, tessera numero uno del Partito democratico, e leggevo oggi anche all’attuale responsabile della comunicazione del partito, per lanciare campagne di fango su politici considerati avversari". In altre parole, continua, "qualcuno ha messo in piedi metodi che si usano nei regimi illegali per cercare di gettare fango a chi non gli stava simpatico".
Insomma, se Giorgia Meloni non accusa esplicitamente il Pd di essere il mandante ci manca davvero pochissimo. Ma non si ferma qui: chiede di indagare "per conoscere nome e cognome dei mandanti". Ciò che "mi indigna di più", scandisce, è che qualcuno tiri in ballo la libertà di stampa "che non prevede si getti fango su chi non ci va a genio". Il Pd un po’ accusa il colpo: difficile spiegare altrimenti il silenzio che ha campeggiato tutto il giorno nonostante la faccenda sia diventata la prima linea dello scontro anche in Abruzzo. Solo in serata, torna in campo Elly Schlein: "Da Meloni parole deliranti. La libertà di stampa va difesa fino in fondo. Sono la prima che dice che si tratta di una vicenda grave e va fatta chiarezza. Ma lei si inventa ogni giorno un complotto o un nemico senza fornire elementi come arma di distrazione di massa".
Chi utilizza accenti non meno esacerbati di quelli della premier è Giuseppe Conte. Anche per lui l’attacco alla libertà di stampa è grave: "Va rispettata". Soprattutto, però, il leader di M5s fa scudo all’Antimafia e al suo partito, che ha eletto Cafiero De Raho. "Si parla di un ufficiale infedele. Sollevare il polverone in questo momento e accusare la Dna del tempo è strumentalizzazione. Stanno attaccando De Raho, il procuratore dell’epoca. Un campione dell’antimafia viene messo sotto accusa con strumentalizzazioni indegne da parte del centrodestra".
E non ci pensa due volte a denunciare la cospirazione ai suoi danni Matteo Salvini. Forte delle parole di Cantone ("L’attività sui fondi della Lega è uno degli oggetti di futuro approfondimento"), il leader del Carroccio avverte: " Vogliamo sapere chi erano i mandanti, chi pagava, chi incassava, su indicazione di chi. Sta emergendo qualcosa di sconcertante, che non ha precedenti". Nel fronteggiamento politico, Italia viva è schierata senza esitazioni con la destra. Se Matteo Renzi parla di "scandalo senza precedenti", la coordinatrice del partito, Raffaella Paita fa seguire alle parole i fatti: chiede infatti all’ufficio di presidenza della commissione Antimafia che sia ascoltato Cafiero De Raho, e la maggioranza si accoda. Essendo l’ex capo della Dna ora membro dell’organismo parlamentare, la richiesta deve essere sottoposta all’esame dei presidenti di Camera e Senato.
Insomma: se fino all’audizione di Cantone era ancora possibile pensare che lo scandalo si rivelasse una bolla di sapone destinata a dissolversi dopo il voto in Abruzzo, da ieri quel miraggio non c’è più.