Sono circa 800mila le lavoratrici madri che potranno contare nel 2024, ma anche nei due anni successivi, sulla decontribuzione extra introdotta specificamente per le donne con figli e che comporterà un vantaggio retributivo che potrà arrivare fino a 1.700 euro netti l’anno. In sostanza, una sorta di quattordicesima erogata mensilmente. A simulare il risultato economico del bonus mamme, come è stato ribattezzato, sono gli esperti dell’Upb, l’Ufficio parlamentare di bilancio guidato dall’economista Lilia Cavallari. "Gli sgravi contributivi – scrivono e spiegano i tecnici – non si traducono interamente in un incremento del reddito disponibile. Il beneficio al netto delle imposte crescerà progressivamente fino a attestarsi su circa 1.700 euro, raggiunti in prossimità della retribuzione lorda di 27.500 euro, valore che resta pressoché costante per le retribuzioni superiori".
IL BONUS MAMME
In che cosa consista il bonus mamme, voluto da Giorgia Meloni come intervento-segnale a favore di politiche per la natalità, è presto detto. Si tratta dell’esonero totale dei contributi previdenziali che gravano sulla lavoratrice entro un tetto massimo di 3.000 euro. In concreto, il datore di lavoro invece di versare i contributi gravanti sulla lavoratrice all’Inps li trasforma in retribuzione a favore della stessa. È lo Stato, a sua volta, a coprire il pezzo di contributi mancanti. Lo sgravio è stabilito per il triennio 2024-2026 per le lavoratrici madri con tre o più figli, di cui uno almeno minorenne. Ma per il 2024 lo sconto vale anche per le mamme con due o più figli, di cui almeno uno di età inferiore a 10 anni.
LAVORATRICI INTERESSATE
Destinatarie del bonus sono le lavoratrici assunte con contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato. È escluso il lavoro domestico. Non c’è, a differenza del taglio del cuneo generalizzato, un tetto di stipendio oltre il quale non si applica. In totale parliamo, secondo le stime, di circa 800mila lavoratrici. Si tratta di circa il 10 per cento delle donne lavoratrici: in totale 9,9 milioni. Ma la scelta è stata quella di introdurre un bonus che favorisse la natalità. Anche se non mancano le polemiche rispetto a due rilevanti esclusioni: la prima per le lavoratrici domestiche, la seconda per le lavoratrici con contratti a termine. Queste ultime sono circa un milione e mezzo e l’esclusione dal bonus non spinge certo a fare figli, perché si somma, anzi, alle altre condizioni di precarietà.
L’AUMENTO IN BUSTA PAGA
Per indicare l’entità dell’aumento di stipendio frutto della sforbiciata sui contributi va sottolineato che la misura si somma a quella parziale di 6 o 7 punti prevista in generale per tutti i lavoratori fino a 35 mila euro di retribuzione. L’ammontare del beneficio sarà variabile, dunque, in relazione al livello di stipendio. Con 35mila euro di retribuzione lorda, il vantaggio totale (frutto della somma delle due decontribuzioni) potrà arrivare a quota 1.777 euro netti l’anno, di cui 1.159 euro derivanti dal taglio del cuneo generalizzato e 618 euro dalla decontribuzione specifica. Secondo gli analisti dell’Upb, la decontribuzione per le mamme sarà destinata per il 57 per cento circa alle lavoratrici con meno di 35 mila euro di stipendio, mentre andrà per il 43 per cento a dipendenti che hanno retribuzioni più elevate.
NESSUNA DOMANDA
Come nel caso del taglio generalizzato del cuneo, anche per quello relativo alle lavoratrici madri non c’è bisogno, per chi ritiene di avere diritto, di una richiesta al datore di lavoro o all’Inps. Sarà direttamente il datore di lavoro a applicare la sforbiciata ai contributi, con la trasformazione della quota tagliata in aumento dello stipendio lordo.
IL COSTO DELL’OPERAZIONE L’applicazione dello sgravio specifico per le mamme comporta per lo Stato un onere di circa 450 milioni di euro. Il conto sarebbe anche più alto, ma l’applicazione dell’Irpef e delle addizionali alla maggiorazione della retribuzione fa incassare più tasse allo Stato.