Consegnare i migranti alla guardia costiera libica è reato. Perché il Paese non è un porto sicuro. E la sentenza della Corte di Cassazione sancisce un principio che potrebbe rimettere in discussione gli accordi tra l’Italia e Tripoli. La sentenza del Palazzaccio si riferisce al caso del comandante del rimorchiatore Asso 28 Giuseppe Sotgiu, che il 30 luglio del 2018 soccorse 101 persone nel Mediterraneo centrale riportandoli poi in Libia. E conferma la condanna a un anno di reclusione per "abbandono in stato di pericolo di persone minori o incapaci e di sbarco e abbandono arbitrario di persone", vietato dalla Convenzione europea per i diritti umani perché le persone soccorse in mare devono essere portate in un luogo sicuro.
LA SENTENZA
La Quinta sezione della Cassazione, nella sentenza numero 4557, ricostruisce che all’epoca un "ufficiale di dogana libico" avrebbe suggerito al comandante del rimorchiatore di dirigersi verso le coste di Tripoli per sbarcare i migranti. Secondo i togati l’imputato ha "omesso di comunicare ai centri di coordinamento e soccorso di Tripoli e all’Imrcc di Roma, in assenza di risposta dei primi, l’avvistamento e l’avvenuta presa in carico". Violando così "le procedure previste dalla Convenzione di Solas e dalle direttive dell’Organizzazione marittima Internazionale". E mettendo in atto "un respingimento collettivo in un porto considerato non sicuro come quello libico". Il comandante invece "avrebbe dovuto operare accertamenti sui migranti", verificando se volessero o meno chiedere asilo, e sui minori, per controllare se fossero accompagnati o meno".
LE REAZIONI
La sentenza scatena le Ong. Luca Casarini di Mediterranea Saving Humans dice che ora "diventa un reato grave anche ordinarci di farlo, come succede adesso. Metteremo a punto non solo i ricorsi contro il decreto Piantedosi, ma anche una grande class action contro il governo, il ministro dell’Interno e il memorandum Italia-Libia". E spiega: "Dovranno rispondere in tribunale delle loro complicità nelle catture e deportazioni che avvengono in mare ad opera di una “sedicente“ guardia costiera, che altro non è che una formazione militare che non mette in salvo le donne, gli uomini e i bambini". Sea Watch Italia fa sapere che "così crolla il castello di carte costruito dalle politiche italiane ed europee che hanno istituzionalizzato la pratica dei respingimenti collettivi con l’accordo con la Libia del 2017". Per Valeria Taurino di Sos Mediterranée con la sentenza "adesso è chiaro che le Ong hanno sempre operato nel rispetto della legge", mentre Open Arms chiede lo stop dei finanziamenti alla Libia. Il segretario di Sinistra Italiana e leader di Avs Nicola Fratoianni dice che "ora non ci sono più alibi o scorciatoie per le autorità italiane e gli apparati dello Stato su come comportarsi in mare".