Nell’atrio di Palazzo Nuovo, la sede universitaria torinese occupata da oltre dieci giorni per "l’intifada studentesca" pro Palestina, venerdì scorso è rieccheggiata la parola Jihad, la guerra santa contro gli infedeli. A pronunciarla è stato Brahim Baya, uno dei responsabili della moschea Taiba di via Chivasso: "La Palestina è da sempre mira degli invasori, i palestinesi negli ultimi mesi hanno resistito a questa furia omicida ma sono ancora in piedi e il loro insegnamento arriva a noi. Questa loro sofferenza è una forma di jihad nel più alto senso del termine come sforzo per difendere i propri diritti, la vita umana, la pace". Voleva essere una preghiera. È stata postata da uno studente su You Tube e ha provocato il putiferio.
L’università trasformata in moschea da un Imam, anche se Baya in senso stretto non lo è. Con replica sfiorata ieri al Politecnico, altro venerdì di passione. Un nuovo sermone era in programma alle 13.15. Contro l’iniziativa si è schierato il rettore Stefano Corgnati, spalleggiato dalla ministra Anna Maria Bernini, chiedendo una diffida da parte del prefetto e del questore, che è poio arrivata. Baya ha replicato così: "Sono solo stato chiamato a officiare un’orazione, come può essere chiamato chiunque. Il problema è l’islamofobia di questo Paese". Non era andato leggero con le sue accuse agli "invasori, arroganti e colonizzatori", il riferimento al "nuovo colonialismo becero e criminale". Il suo intervento a Palazzo Nuovo aveva scatenato l’indignazione di alcuni accademici e del rettore Stefano Geuna, costretto a ribadire "fermamente il carattere di laicità dell’istituzione universitaria". Replica: "Non intendevo guerra santa ma impegno di ogni buon musulmano. Io sono sempre contro la violenza". Baya era stato invitato dagli studenti musulmani in accordo con gli occupanti. A chiedere che oltre da Imam facesse da Khatib (l’oratore che fa un breve discorso prima della preghiera) erano stati gli studenti stessi. "Parole di violenza – ribadisce il rettore Geuna – inconciliabili con l’idea di Università come luogo democratico di scambio e confronto".
Stesso clima ieri al Politecnico, dove 25 membri del Senato accademico hanno espresso preoccupazione per l’annunciato bis. Mentre Victor Fadlun, presidente della Comunità ebraica di Roma, ritiene "grave e inaccettabile che l’antisemitismo si sia insediato nell’Università di Torino e che possa esprimersi addirittura in un inno alla Jihad, trasformando un prestigioso ateneo in moschea militante". L’imam non ha colpe, ironizza Osvaldo Napoli della segreteria nazionale di Azione: "Da uomo cinico e spregiudicato, approfitta di una situazione fuori controllo nelle Università e fa opera di proselitismo alla guerra santa. Non certo per il popolo palestinese, della cui sorte all’imam non importa un fico secco, ma per diffondere odio contro Israele. Vanno sgomberate le aule occupate e gli studenti portati fuori. A questo servono le forze dell’ordine".
Prende posizione sul Foglio la professoressa Daniela Santus, che da mesi si ribella agli appelli pro Palestina nelle università, rivolgendosi proprio a Baya: "Lei chiede un Jihad per riparare alle ingiustizie, usando le mani per lottare in favore dei palestinesi oppressi. Non nomina mai Israele e così all’inizio ho pensato intendesse rivolgersi alla lotta contro Hamas, che dal momento della sua elezione rende miserrima la vita dei palestinesi della Striscia…." E ancora: " Sono certa che Lei convenga con me che, senza il 7 ottobre, non ci sarebbe stata guerra". Brahim Baya, instancabile, risponde anche a lei: " Nel mio discorso ho fatto riferimento alle crociate che hanno preso di mira questa terra a partire dal discorso sanguinario di papa Urbano II del 1095. Ho salutato la valorosa resistenza del popolo palestinese. E le mani erano intese in senso politico".