"Era una persona al contrario di quel che sembrava". Pier Luigi Duvina, di Vittorio Emanuele ha un ricordo quasi tenero. Lo conobbe che era piccino. "Alto quasi due metri e robusto, in realtà era piuttosto timido, non rendeva quando appariva in tv. Impacciato, bloccato, diverso dalla persona divertente e pronta alla battuta che ho conosciuto – dice – In sua compagnia si stava bene, mai ha fatto pesare di essere sua altezza".
Il novantenne medico fiorentino Duvina è dal 2007 presidente della Consulta dei senatori del Regno, "a suo tempo ne fecero parte Carducci, Marconi, Pirandello", ricorda. Per la sua appartenenza monarchica Duvina era stato picchiato "dai neri e ai rossi" la "prima volta a 13 anni". Racconta le persecuzioni e l’esilio forzato da medico plurispecializzato lontano da Firenze dove poté tornare da primario all’ospedale pediatrico Meyer solo a fine carriera. Ma "nella mia famiglia nessuno è stato iscritto al partito fascista, né mio nonno né mio babbo che nascose in casa un ebreo", dice.
Ancora attaccato a quella forma istituzionale "che dopo settantacinque anni che se ne parla male sembra lontana, ma la storia ci insegna che non si sa mai" e che almeno i monarchi "non sono di parte ma vengono allevati per essere super partes, vicini a tutti i cittadini". Nel rapporto con Vittorio Emanuele di Savoia sono state molte le confidenze. "Era una persona molto buona e affabile che ha sofferto tanto per tutte le accuse poi rivelatesi infondate, non dormiva in attesa di processi che non si tenevano mai – racconta Duvina – Come può trascorrere le notti un uomo accusato di omicidio? C’è stato un accanimento. Quelle vicende lo hanno cambiato per sempre".
Duvina ha scritto un libro: ’La verità storica’, "il titolo può sembrare un po’ presuntuoso, ma gli altri parlano così". Ricorda i momenti trascorsi con il principe, le telefonate e i racconti remoti. "A casa mia votarono per la monarchia, io appena 18enne andai in motorino a trovare il re Umberto II in esilio a Cascais, seguito da mio padre in Giardinetta". Perché? "Mi piaceva l’idea, lo incontrai fuori dalla villa: un uomo semplice. Ci sedemmo sul muretto e lui mi portò giù, verso l’oceano. Scesi cinque gradini, mi fermai e dissi che mi faceva paura. Lui mi rassicurò dicendo che faceva questo effetto a tutti, ma che poi ci si abitua".
Ilaria Ulivelli