Lunedì 29 Aprile 2024

Il partito ‘temperato’ modello Tajani

Il Ministro degli Esteri interpreta il nuovo corso del post berlusconismo, puntando sul popolarismo europeo

Il ministro degli esteri Antonio Tajani, segretario di Forza Italia (Ansa)

Il ministro degli esteri Antonio Tajani, segretario di Forza Italia (Ansa)

Era la formazione politica personale e personalistica per definizione, la prima, la più grande, quella che ha aperto la strada alla leadership del capo come formula-chiave della cosiddetta Seconda Repubblica: con il maggior numero di tentativi di imitazione, nel metodo, per lo più malriuscite. Oggi, per uno dei paradossi che la storia assegna alle eredità di taluni leader (uno per tutti, Charles De Gaulle), Forza Italia, sempre nel nome di Silvio Berlusconi, si sta trasformando in un vero partito solido, strutturato, che cerca e trova un suo progressivo radicamento territoriale e un suo rilevante rapporto con i corpi intermedi, mentre consolida robustamente l’ancoraggio con il popolarismo europeo: dunque, con la più consistente famiglia politica del Vecchio Continente. E, così, paradosso per paradosso, nel tempo in cui anche il Pd, l’ultimo caso di partito con un impianto novecentesco derivante da colossi come il Pci e parte della Dc, si proietta, con Elly Schlein, verso tendenze movimentiste e liquide, appare degno di nota osservare come Forza Italia, quasi in solitaria, si muova in una direzione che, senza nostalgie retrodatate, intercetta uno spirito pubblico che recupera il valore delle organizzazioni politiche che puntano su regole di democrazia interna non ritagliate a misura di leader unico e sull’obiettivo di costruire leadership plurali.

È innegabile che nel passaggio epocale dal berlusconismo al post-berlusconismo, come delineato, abbia avuto e abbia un ruolo centrale Il ministro degli esteri Antonio Tajani, che, non a caso, è il "segretario" del partito e non il "presidente" (perché anche i nomi sono rivelatori), eletto attraverso un processo congressuale non breve e non formale. Come è altrettanto innegabile che lo stesso Ministro degli Esteri abbia scelto una linea di azione e di comunicazione che punta a quell’elettorato non tanto o non solo moderato o di centro in senso classico, ma che apprezza le posizioni e le soluzioni non estreme, ma temperate e non urlate. Il che non è escluso che possa portare a qualche sorpresa nel voto di giugno.